La Sicilia è spesso ricordata per i suoi disservizi, per la tendenza alla lamentela diffusa e per un senso di fatalismo che la permea. Eppure, è anche terra di intuizioni geniali, di inesauribile creatività e di luoghi magici che, nel corso dei secoli, hanno attratto popoli e personalità capaci di portare con sé sogni, culture e visioni nuove.
Proprio sull’isola, terra amara ma tanto amata, nacque il Primo Parlamento del mondo. Il Parlamento del Regno di Sicilia — o più semplicemente Parlamento Siciliano — fu il primo organo assembleare a dotarsi di strutture e funzioni simili a quelle dei parlamenti moderni. La sua origine si deve alla lungimiranza del Gran Conte Ruggero I, normanno, che nel 1097, dopo la conquista di Palermo e il consolidamento del proprio dominio sull’isola, decise di porre la prima pietra di un progetto destinato a cambiare la storia. La sede iniziale fu Mazara del Vallo.
La svolta definitiva avvenne con l’incoronazione di Ruggero II a Re di Sicilia, nel 1130: un evento epocale che segnò, ancora prima che in Inghilterra, l’affermarsi di una forma di potere in cui il sovrano non poteva più esercitare il comando in maniera assoluta, ma necessitava del consenso di un’assemblea. Al Parlamento furono conferiti compiti e funzioni ben definiti, che trasformarono i suoi membri da semplici figure di rappresentanza a personalità operative e influenti nella vita politica del regno.
Con Federico II di Svevia, questo sistema parlamentare si consolidò ulteriormente. La sede fu stabilita definitivamente a Palermo, dove l’istituzione continuò a crescere in prestigio e potere. Fin dall’epoca dei Normanni e degli Svevi, il Parlamento siciliano ebbe funzioni deliberative: era cioè in grado di proporre leggi e di discutere quelle presentate dal sovrano. Inizialmente dominato dai poteri ecclesiastici e feudali, il Parlamento iniziò gradualmente ad aprirsi, ampliando la propria rappresentanza sull’intera isola.
Un episodio emblematico fu la convocazione dell’assemblea a Messina nel 1221, per volere di Federico II. In quell’occasione, fu sancito per la prima volta l’ingresso della società civile nella gestione del potere, attraverso i rappresentanti delle città demaniali. Un atto precursore, che anticipò di oltre un secolo la nascita del Parlamento inglese nel 1265 e la successiva divisione in due camere, avvenuta nel 1295.
L’esperienza siciliana, unica nel suo genere, fu un modello rivoluzionario: influenzò anche altre realtà insulari come l’isola di Mann e l’Islanda, e, successivamente, la stessa Inghilterra. Fu proprio in questo contesto di fermento politico e culturale che maturò il movimento dei Vespri Siciliani del 1282, insurrezione popolare contro l’opprimente dominio angioino. A seguito della rivolta, fu incoronato Pietro d’Aragona, che aprì le porte del potere alla città di Catania. In quel periodo, numerose assemblee si tennero all’interno del Castello Ursino, e non è un caso se oggi, nella Cattedrale di Catania, si trovino i sarcofagi di diversi membri della dinastia aragonese.
Un cammino interrotto: speranze e occasioni perdute
Dopo la fine della dinastia aragonese, il Parlamento siciliano entrò in un lungo periodo di declino. Durante la dominazione spagnola mantenne una parvenza di autonomia, ma fu gradualmente svuotato di potere dai viceré. Con l’unificazione amministrativa del Regno di Sicilia e di quello di Napoli sotto i Borbone, la situazione peggiorò: il Parlamento fu relegato a un ruolo marginale e convocato solo in casi eccezionali, per approvare tributi.
La svolta arrivò nel 1812 con l’adozione di una Costituzione che aboliva il feudalesimo e istituiva un Parlamento bicamerale. Tuttavia, il Congresso di Vienna del 1815 ne decretò la fine. Un nuovo tentativo si ebbe nel 1848, con la proclamazione di un Regno di Sicilia indipendente, ma fu rapidamente represso da Ferdinando II.
Anche la parentesi garibaldina non portò al rilancio del Parlamento. Solo nel 1947, in un’Italia ormai repubblicana, fu istituita l’Assemblea Regionale Siciliana. Un’istituzione che ancora oggi porta il nome del suo illustre antenato, ma che spesso appare come un’eco sbiadita di quella straordinaria stagione in cui la Sicilia fu laboratorio di modernità politica e istituzionale.