La propaganda elettorale nella Pompei romana. Nulla è cambiato da allora.
Si avvicinano le elezioni europee 2024, e adesso come allora, con candidati, sostenitori, e attacchini. In epoca di elezioni le città sono tappezzate di manifesti elettorali in cui si invitano gli elettori a dare il proprio voto a questo o quel candidato. Tutti hanno promesso grande impegno in una causa a favore dei suoi amati elettori. Spesso le tracce delle passate campagne sopravvivono alle elezioni in brandelli di poster mal rimossi da case e monumenti, e persino da alberi o serrande. Sono famosi i manifesti elettorali ritrovati a Pompei, veri e propri graffiti incisi sui muri degli edifici che ci hanno consegnato intatti nomi e personalità, ma anche motivi di propaganda politica. Mentre candidati e amici dei candidati preparavano i loro slogan, alcuni si occupavano delle connesse attività di propaganda, a cominciare dalla pubblicità. C’era addirittura un addetto che imbiancava il muro; un altro era incaricato poi di scrivere, e di sera, un addetto alla lanterna per fare luce; ed ancora un ultimo sovrintendeva a tutta la procedura, compresa la votazione. Questa pletora di tecnici risultavano spesso destinatari di invettive, quando non di vere e proprie, diremmo oggi, ordinanze, in cui si intimava loro di rispettare i monumenti, specie se funebri, e di non imbrattarli.
Nel frattempo il candidato faceva il suo giro per le strade, accompagnato da un codazzo di sostenitori, amici, curiosi, presentandosi con una toga bianca (candida, appunto), che lo identificava come colui che aspira a rivestire una carica pubblica. Il suo giro si chiamava ambitio, perché egli brigava, stringeva mani, salutava, distribuiva doni o monete, girava intorno insomma per ottenere il favore degli elettori, in casi estremi arrivava persino a corromperli: tale eventualità, anzi, molto frequentemente, soprattutto quanto era maggiore la dovizia dell’evento organizzato per promuovere la sua candidatura, come banchetti e giochi circensi. In tali casi egli rischiava di incorrere in diverse conseguenze, dalle lievi, come multe pecuniarie, fino alle più gravi, penali, come l’esclusione dal senato o l’esilio; ma questo timore non doveva intaccare la sua strategia politica, se si rendeva necessario – anche se spesso senza successo – rinnovare nei suoi confronti la minaccia delle sanzioni. Le scritte murarie erano opera, nella maggior parte dei casi, di qualcuno dei simpatizzanti, che garantiva onestà e serietà di Tizio o Caio; altre volte si puntava sulla sua generosità, che prometteva chissà cosa; organizzava spettacoli e occasionalmente distribuiva cibo per le vie, per guadagnarsi la fiducia anche dei più poveri.

Nel museo epigrafico di Roma, sito nelle terme di Diocleziano, sono esposte due coppette di terracotta che recano al loro interno il nome del candidato (rispettivamente Catilina, si proprio quello poi attaccato da Cicerone; e Marco Porcio Catone, anche lui celebre, ma come difensore della repubblica), visibile dunque solo dopo aver consumato il pasto, come un moderno messaggio subliminale. Giunto l’election day, un banditore invitava gli elettori a recarsi alle urne al comitium, dove essi esprimevano il loro voto denominato il suflragium, secondo un ordine ben preciso, incidendolo su una tavoletta cerata poi inserita in una cesta. Il nome del vincitore, proclamato a gran voce, riecheggiava per le strade, mentre lui si fregiava di un titolo provvisorio, quello di magistratus designatus, visto che doveva attendere la fine dell’anno in corso per assumere ufficialmente la carica. Le scritte elettorali scritte sui muri erano delle più disparate come ad esempio: “Stazia e Petronia propongono M. Casellio e L. Albucio come edili” oppure: “I panettieri insieme ai loro vicini desiderano che diventi edile Gneo Elvio Sabino”, o ancora : “Vi chiedo di votare quell’uomo buono di Popidio in qualità di Duoviro”! E che ai tempi dell’Antica Roma si faceva propaganda elettorale scrivendo sui muri, nel sito archeologico di Pompei ne è testimonianza. A Pompei sono stati ritrovati circa 2500 cartelli elettorali dipinti sui muri in nero o in rosso. E ciò nonostante Pompei fu sepolta nel 79 d.C. sotto uno strato di cenere dall’eruzione del Vesuvio e ciò, pur seminando morte e distruzione, ha preservato importanti testimonianze storiche, riportate alla luce dal lavoro degli archeologi. Una di queste testimonianze storiche è appunto relativa ai cartelli elettorali che, a quel tempo, come già detto, venivano scritti sui muri; essi contenevano non solo proclami scritti dal candidato, ma anche inviti di elettori a votare questo o quel candidato.
Ogni muro poteva servire allo scopo e gli scritti su di essi rappresentavano manifestazioni di sostegno di singoli o di ordini professionali quali ad esempio: panettieri, osti, parrucchieri, ecc. E allora come adesso, non poteva mancare la contro propaganda, ossia annunci solitamente ironici con firme dichiaratamente false, tipo “i ladruncoli chiedono di eleggere Pinco Palla”. Sui cartelli elettorali scritti sui muri nell’Antica Roma e a Pompei in particolare, però non si esponeva il programma politico né promesse elettorali; ciò che si metteva in evidenza erano le qualità morali del candidato che lo facevano degno di occuparsi della cosa pubblica. Immaginate se codesta prassi sarebbe attuata ai tempi d’oggi, chissà la lunga sfilza di candidati con trascorsi penali discutibili ed altri ancora sotto processo. Nell’Antica Roma, non tutti votavano e non tutti potevano essere votati; donne, schiavi e liberti (schiavi affrancati) non potevano né votare né essere votati, ma le donne potevano partecipare alla campagna elettorale, appoggiando un candidato attraverso i loro inviti murali, esattamente come gli uomini. In definitiva, dove sta la differenza tra i tempi romani e quelli d’oggi?
Massimo Scuderi