La Pizza napoletana e l’Arancino catanese: due prelibatezze che tutto il mondo ci invidia

Massimo Scuderi
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Il 17 Gennaio si è celebrata la Giornata mondiale della pizza. La gustosa pietanza, che ha origini molto antiche, viene celebrata nel giorno della festa di Sant’Antonio Abate, patrono del fuoco, e istituita nel 2018 come riconoscimento dell’arte del pizzaiolo napoletano quale Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’Unesco.

La “Pizza”, che è la parola italiana più diffusa al mondo, si è affermata tra il Settecento e l’Ottocento, ma pare che la sua definizione risalga all’anno ‘997 e che l’abitudine di preparare focacce di grano o altri cereali accompagnate da verdure, carni, pesci e prodotti caseari era già diffusa nel mondo antico.

Il termine ha assunto la sua popolarità su scala nazionale e internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, quando si svilupparono massicci flussi migratori verso l’Italia settentrionale, gli emigranti meridionali contribuirono alla diffusione delle pizzerie nelle regioni del Nord. Negli stessi anni, la pizza divenne popolare anche all’estero.

Negli Stati Uniti, nella prima metà del Novecento la pizza era consumata quasi esclusivamente dagli emigranti italiani, ma dopo la guerra ebbe una più vasta diffusione. Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 nel Paese nordamericano nacquero anche alcune popolari catene di pizzerie, tra le quali Pizza Hut e Domino’s Pizza, che contribuirono a espanderne il consumo, e fu proprio lì che furono prodotte le prime pizze surgelate, assai diverse da quelle che siamo abituati a mangiare.

Se niente può competere con la pizza napoletana, ancora più a sud dell’Italia troviamo un’altra eccellenza dell’arte culinaria che ha conquistato il palato degli avventori della gastronomia: l’arancino catanese.

L’arancino è considerato dai siciliani il prodotto di friggitoria più caratteristico della regione, e quasi tutte le grandi città siciliane ne rivendicano la paternità. L’arancino è composto da una sfera o da un cono di riso impanato e fritto, del diametro di circa 10 centimetri, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cotto e mozzarella. Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un’arancia, anche se nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica.

Nell’esclusivo territorio catanese si sostiene che la forma a cono si debba ad una ispirazione data dall’Etna: infatti tagliando la parte superiore dell’arancino notiamo la fuoriuscita del vapore che ricorderebbe il fumo del vulcano, mentre la superficie croccante della panatura e il rosso del contenuto ne rievocherebbero la lava. Anche il personaggio dei romanzi di Andrea Camilleri, il commissario Montalbano, nella finzione letteraria è un noto estimatore dell’arancino. Infatti, uno dei racconti dell’autore siciliano è intitolato: “Gli arancini di Montalbano”.

L’arancino più diffuso a Catania è quello al ragù di carne, seguito da quello al pistacchio di Bronte. Sul modo di mangiarlo ci sono diverse opinioni: per alcuni va preso alla base e poi mangiato, per altri invece l’impugnatura va fatta nella parte superiore.

La diatriba riguarda anche il suo nome. Se a Catania abbiamo la versione maschile, a Palermo esiste invece il suo contraltare femminile. L’Arancina nata nel capoluogo siciliano, si presenta con una forma tondeggiante come a ricordare un’arancia, per cui per i palermitani la declinazione più corretta sarebbe al femminile, mentre per i catanesi essendo “arancino” l’italianizzazione del termine dialettale “arancinu” che deriva a sua volta da “aranciu”, (declinazione maschile del frutto), la forma più corretta è il maschile.

A dimostrazione di quanto scritto basta sfogliare il dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biund  del 1857, dove si legge solo la locuzione “arancinu”.

Sta di fatto che la pizza e l’arancino restano due certezze che tutto il mondo ci invidia e che se è vero che non possiamo identificare l’Italia solo con la tradizione culinaria è anche vero che senza queste due prelibatezze il nostro Paese non sarebbe più lo stesso.

Massimo Scuderi

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