I am what I don’t know: Al “Camiciotti73” le opere di Yūrei conquistano i visitatori

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
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La gentilezza nell’arte esiste, e la sua pennellata è delicata ma decisa.
Stiamo parlando di Nini Ferrara – in arte Yūrei –, artista completo e multiforme che onora la vita offrendole un senso profondo, mai banale, e lo fa attarverso la più nobile delle vie: l’arte. Dal teatro alla scrittura fino alla pittura e alla scultura, la ‘voce’ di Yūrei è lo spirito del tempo, impalpabile, così vero allo stesso tempo.

Mani che toccano, mani che prendono, mani che ricevono, mani che accarezzano, anche l’anima, come un vento che emoziona. Qualcuno ha detto che la sua mano possiede la ‘lievità del fantasma’; qualcun altro, un’estensione d’anima che anela all’infinito: troppo poco per una tela.
Ma Yūrei è tutte queste cose, unite da una sensibilità estrema, infantile, quasi timida, poco incline al tempo dell’adulto — un tempo rigido e duro, indifferente.

Lo abbiamo visto in questi giorni alla galleria d’arte “Camiciotti73” di Messina, che dal 17 al 31 ottobre 2025 ha ospitato i suoi dipinti custodendoli come pietre preziose dentro uno scrigno, “I am what I dont’t know”, è il titolo della mostra. A presentarlo una voce, quella di un altro grande artista messinese, Dimitri Salonia, che, con parole dorate di promessa e di rinascita, alle 18.30 apriva il vernissage.

Yūrei è il nome d’arte di Nini Ferrara.

Ma chi è Nini Ferrara, ancora?
Mancato medico, sì, perché in lui ardeva forte la fiamma dell’arte. Così lascia l’Università e si diploma nel 1992 presso la Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, sotto la presidenza del Prof. Giusto Monaco e la direzione di Giancarlo Sammartano.

La sua carriera di attore, regista e drammaturgo lo conduce a essere accanto a quelli che saranno i suoi Maestri: Enrico Maria Salerno, Giancarlo Sbragia, Aldo Nicolaj.
Per anni è Direttore artistico delle Officine Teatrali a Roma: conduce laboratori nella capitale, forma giovani attori e aspiranti professionisti.

Fino al suo ritorno in Sicilia, grembo vivo al quale Nini offre il suo anelito.
Ma è solo con il periodo pandemico che il seme diventa frutto — in questo caso, Opera.

Opera artistica, certo, ma qualcosa di più: epifania del germe divino che sempre abita l’umano.
E solo quando l’uomo lo ascolta e diventa strumento dell’Essere, quel germe si manifesta. Quella piccola scintilla allora diventa fiamma viva, fiamma che arde e illumina. E’ così, nel caso di Yūrei, le scintille sono dieventate tante, e poi altre, e altre ancora, fino alla grande luce che si espande sulle tele, assumendo ora una sfumatura di colore, ora l’altra, una forma e poi l’altra, in un gioco infinito del farsi, nell’infinita mutevolezza dell’Essere.

Nel periodo pandemico inizia ad approfondire la pittura classica e contemporanea, avvicinandosi all’espressionismo astratto del secondo Novecento. Suoi modelli, tra gli altri, sono Zao Wou-Ki, Renato Guttuso, Emilio Vedova, Joan Mitchell.

È vincitore dell’edizione 2024 del Premio Pier Maria Rosso di San Secondo e Leonardo Sciascia.
Espone in Italia e all’estero. Sue opere d’arte fanno parte di collezioni private in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.

Le creazioni di Yūrei sono trasmutazioni del reale vissuto: visioni che sfumano in pennellate bramanti di nascere, (vedi tele come Amantità) e che urlano al di là della tela, preghiere. Le tecniche, multiformi — dall’acquerello all’olio e infine la scultura — parlano linguaggi diversi, mai tradendo lo stile multidimensionale di Yūrei.

Non c’è realismo, ma nemmeno astrattismo; è l’intera espressione di un concetto che svela la sua Verità, la verità dell’artista che solleva lo sguardo al di là del luogo comune, in una regione dell’anima spesso dimenticata — il ricordo dell’origine.

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