Il Ponte sullo Stretto: Progresso o Illusione?

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
6 minuti di lettura

Una delle opere più ambiziose mai concepite in Italia sta per prendere forma. Il Ponte sullo Stretto non è più un sogno, ma una realtà in costruzione. Eppure, mentre si celebrano numeri da record e promesse di sviluppo, restano aperte domande cruciali: a chi servirà davvero questa connessione? E a quale prezzo?

Il CIPESS ha dato il via libera definitivo: il Ponte sullo Stretto di Messina si farà. Sarà il più lungo ponte sospeso al mondo, un colosso d’acciaio e cemento che collegherà la Sicilia alla Calabria, con oltre 3 chilometri di luce centrale e un sistema di opere complementari che include strade, ferrovie, stazioni, viadotti e gallerie.

La narrazione istituzionale è chiara: siamo davanti a una svolta epocale, a un’opera simbolo della capacità italiana di innovare, progettare, costruire. Per Pietro Salini, CEO di Webuild, l’impresa è “un volano di crescita, occupazione e legalità per tutto il Sud Italia”, e un’opportunità per i giovani talenti dell’ingegneria.

Fin qui, tutto bene. Ma è davvero tutto così semplice?

Un ponte tra le epoche (e le strategie)

Il Ponte sullo Stretto ha da sempre un forte valore simbolico. Per molti, è il sogno postumo di Silvio Berlusconi che diventa realtà: la Sicilia finalmente integrata, non più isola ma piattaforma connessa al continente, ponte strategico tra l’Italia e l’Europa.

Ma questa connessione — va detto chiaramente — non è solo un affare italiano. L’opera si inserisce in un disegno più ampio: una rete logistica che punta a collegare il Sud Europa con l’intero bacino mediterraneo e oltre. È l’industria che si muove, è la geopolitica dei trasporti, è l’Europa che si estende.

E allora, la domanda è inevitabile: a chi gioverà questa unità? Ai siciliani? All’economia locale? O alle grandi lobby internazionali e al compimento del disegno di unità globale?

Il progresso sì, ma a quale costo?

Non c’è dubbio: se tutto procederà come previsto, la Sicilia ne uscirà trasformata. I collegamenti via terra saranno più rapidi, le imprese entreranno nel flusso dell’industria nazionale, i trasporti merci avranno un’accelerazione storica. Ma attenzione a non cadere in una visione semplicistica: il problema non è se la Sicilia sarà potenziata, ma in che modo e per chi.

Perché lo sviluppo, se non è accompagnato da una visione umana e ambientale, rischia di diventare devastazione. E lo scenario ambientale è uno dei nodi più controversi.

Madre Terra non applaude

Lo Stretto di Messina non è solo un braccio di mare. È un ecosistema vivo, fragile, unico. È crocevia di biodiversità marina, paesaggio mitologico, santuario naturale. Un ponte di questa portata non potrà che incidere profondamente sull’ambiente: piloni, gallerie, viadotti e flussi di traffico cambieranno per sempre la morfologia del territorio.

La domanda è semplice, ma urgente: quale sarà l’impatto sulla fauna marina? Sulla flora? Sul paesaggio stesso? Siamo disposti a sacrificare tutto questo sull’altare della “connessione economica”?

E poi c’è la Terra, quella vera, non quella disegnata nei piani di sviluppo. Una Terra viva, che respira, si muove, e a volte si ribella.

Il nodo sismico: possiamo davvero controllare tutto?

Il Ponte sorgerà in una delle aree sismicamente più attive del pianeta. Qui, le placche africana ed europea si allontanano l’una dall’altra, generando scosse frequenti e talvolta devastanti. Gli ingegneri lo sanno, e l’opera è stata progettata tenendo conto di questa instabilità.

Ma c’è un limite — ed è quello della presunzione umana. Possiamo davvero prevedere tutto? In un’area geologicamente viva, imprevedibile per definizione, è lecito chiederci: basteranno le tecnologie per garantire la tenuta di un’opera simile in caso di forte sisma?

A voler essere provocatori: ci vorrebbero piloni profondi quasi quanto il mantello terrestre per garantire una stabilità assoluta. Ma non è fantascienza, è la realtà cruda della geologia. Il Ponte potrebbe reggere a tutto? Non lo sappiamo.

Il vero ponte da costruire

Il Ponte sullo Stretto sarà, senza dubbio, una meraviglia dell’ingegneria. Ma potrebbe anche diventare il simbolo di una nuova illusione collettiva: quella che ci fa credere che connessione significhi automaticamente progresso, e che il cemento sia sempre la risposta.

Ma non è solo la Sicilia a dover essere collegata. Siamo noi, come società, a dover costruire un ponte tra sviluppo e coscienza, tra ambizione e responsabilità, tra uomo e natura. Perché mentre ci connettiamo sempre di più, rischiamo di perdere la connessione più preziosa: quella con il nostro vero sé.

E in questo, nessun ponte può aiutarci. Dipende solo da noi.

Elena Grasso

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