Spiagge invase dai Rifiuti: i Dati di Legambiente 2025 e la Necessità di una nuova Coscienza ambientale

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
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Nel 2025 le spiagge italiane si presentano ancora come vere e proprie discariche a cielo aperto. A denunciarlo è Legambiente con il suo consueto report “Beach Litter”, che ha registrato numeri preoccupanti nonostante gli sforzi di centinaia di volontari e associazioni.

Secondo l’indagine, condotta su 63 spiagge italiane distribuite in 13 regioni (quasi il doppio rispetto al 2024), sono stati censiti 56.168 rifiuti su una superficie di circa 197.000 mq, pari a una media di 892 rifiuti ogni 100 metri di litorale. Un peggioramento netto rispetto all’anno precedente, soprattutto se si guarda al Clean Coast Index, il parametro internazionale che misura la pulizia delle spiagge: il 28% delle spiagge monitorate è risultato sporco o molto sporco, contro il 6,6% del 2024. Allo stesso tempo, le spiagge considerate “molto pulite” sono scese dal 42% al 27%, mentre quelle “pulite” dal 24,2% al 14%.

A dominare la scena, ancora una volta, è la plastica, che rappresenta il 77,9% dei rifiuti rinvenuti. Tra gli oggetti più comuni si trovano mozziconi di sigaretta (7,5%), cotton fioc in plastica (5,6%), pezzi di plastica tra 2,5 e 50 cm, tappi, frammenti di polistirolo, salviette umide, bottiglie, sacchetti e frammenti di vetro o ceramica. Preoccupante è il fatto che, a tre anni dalla messa al bando degli oggetti in plastica monouso attraverso la Direttiva SUP, questi rappresentino ancora il 40,5% del totale dei rifiuti catalogati.

Pulire non basta: serve una nuova cultura del rispetto

Questi numeri, purtroppo, confermano un’amara verità: raccogliere i rifiuti non basta. Le azioni encomiabili di Legambiente, delle amministrazioni più sensibili e dei tanti volontari che partecipano a iniziative come “Spiagge e Fondali Puliti” (tenutasi dal 4 al 6 aprile) sono importantissime, ma rappresentano un tampone temporaneo su una ferita che continua a sanguinare. Serve qualcosa di più profondo e strutturato.

Occorre, prima di tutto, un lavoro massiccio di sensibilizzazione e formazione. Le persone devono comprendere – davvero – che la spiaggia non è una discarica. Che buttare un mozzicone sulla sabbia, abbandonare una bottiglia tra le dune o gettare una salvietta umida tra gli scogli è un gesto di inciviltà, di ignoranza, di irresponsabilità. Ma per quanto questa presa di coscienza sia auspicabile, la realtà ci mostra che l’essere umano non riesce ancora ad autocontrollarsi, e quando non c’è educazione o senso civico, deve subentrare la regola, la sanzione, il controllo.

Sì, servono multe, e servono telecamere a sorvegliare i litorali. È vero, sa tanto di “Grande Fratello”, e forse è fastidioso l’idea di essere osservati anche nei momenti di relax. Ma se la libertà viene scambiata per licenza di distruggere, allora è necessario porre dei limiti. Non per limitare la libertà, ma per proteggere la bellezza, per difendere un patrimonio collettivo che appartiene a tutti.

L’educazione che ci manca

Per molti, forse, è difficile comprendere la gravità del gesto. Ma immaginiamo per un attimo una situazione opposta: entrare nella casa di una persona e, dopo aver finito di mangiare una fetta di torta, gettare l’involucro per terra, o soffiarsi il naso e buttare il fazzoletto sul tappeto. Il padrone di casa si indignerebbe, ci giudicherebbe maleducati o addirittura fuori di testa. Eppure, ciò che accade ogni giorno sulle spiagge italiane non è diverso.

Ecco perché serve un sistema educativo strutturato, con operatori, formatori, istruttori che vadano oltre la retorica, capaci di insegnare concretezza, rispetto, gentilezza e responsabilità ambientale. Serve una scuola del vivere, un’azienda sociale dedicata a rieducare l’uomo alla bellezza. Perché la bellezza può salvarci, ma solo se impariamo a riconoscerla, custodirla e viverla come parte della nostra identità.

I rifiuti sulle spiagge non sono solo sporcizia: sono il riflesso di una società ancora immatura, che ha bisogno di guida, fermezza e visione. Perché non possiamo più permetterci di restare a guardare.

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