Papa Bergoglio: la morte di un Simbolo e la sfida di un’epoca complessa

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
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La notizia della morte di Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, ha scosso profondamente il mondo, ma lo ha anche diviso. Le reazioni sono state immediate e contrastanti, soprattutto sul web, dove opinioni e giudizi si sono moltiplicati in poche ore.

C’è chi lo ricorda come “il Papa degli ultimi”, lodandone la mitezza, la compassione e l’instancabile impegno verso i più deboli, gli emarginati, gli invisibili. Le sue parole, sempre dolci e cariche di umanità, hanno saputo raggiungere il cuore di milioni di fedeli in ogni angolo del pianeta. Durante il suo pontificato, ha compiuto 47 viaggi all’estero, visitando anche luoghi dimenticati dal mondo, ascoltando le sofferenze della gente, raccogliendo richieste di aiuto, portando con sé il messaggio di una Chiesa più vicina e presente.

Ma non sono mancate le critiche. C’è chi lo accusa di ambiguità, di non aver mai preso posizioni chiare e forti nello scacchiere geopolitico internazionale. Un Papa che, secondo alcuni, è rimasto a metà tra la denuncia e il consenso al potere, incapace di rappresentare in modo deciso una Chiesa salda nei suoi valori. Il suo pontificato, da più parti, è stato definito “confuso”, come a rispecchiare una società smarrita, sempre più laicizzata, lontana da Dio, troppo immersa nella materialità per riconoscere il sacro.

Eppure, è innegabile che Papa Bergoglio sia arrivato alla gente. Le sue omelie, cariche di tenerezza, la sua scelta di vivere in modo sobrio, la rinuncia ai simboli del potere vaticano, hanno parlato a una dimensione più profonda, spirituale, collettiva.

È certo che ai comuni mortali sfuggano le dinamiche oscure e complesse che ruotano intorno ai grandi poteri. E Papa Francesco, come i suoi predecessori, quel potere lo ha avuto: il potere della parola, dell’azione, dell’influenza. E’ stato, senza dubbio, un uomo di potere. E questo non si può ignorare, ma il potere, in sé, non è necessariamente un male. Dio è onnipotente. Gesù, con il suo messaggio rivoluzionario d’amore, è stato potente. Il potere di fare, di cambiare, di toccare l’anima del mondo.

Tra le questioni più discusse di questi giorni vi è la posizione assunta da Papa Francesco nei confronti del conflitto israelo-palestinese. Da una parte accusato di sostenere la causa palestinese, dall’altra visto come un oppositore degli Stati Uniti, descritti da alcuni come una minaccia interna all’Occidente, capace di corrompere l’equilibrio politico europeo già profondamente compromesso.

E la pandemia? Anche in questo campo la posizione di Bergoglio ha diviso. Ha sostenuto il vaccino, definendolo “un atto d’amore”, un gesto etico e morale. Ma non ha preso posizione su quanto, nel tempo, è emerso in merito alle conseguenze legate alla gestione globale dell’emergenza sanitaria. È stato criticato per il suo silenzio, interpretato da alcuni come complicità, da altri come prudenza.

C’è persino chi lo ha definito “amico dei potenti e delle lobby”, fino a identificare in lui il “male del nostro tempo”. Tra questi, la deputata americana Marjorie Taylor Greene, sostenitrice di Donald Trump, che in un post pubblicato il giorno dopo la morte del Papa ha esultato per la sua scomparsa, attirandosi una valanga di critiche. Un gesto che ha rivelato, paradossalmente, quanto l’odio e l’estremismo possano parlare più del Vangelo che si proclama di difendere.

Senza giudicare, oggi il mondo saluta un Papa. Il Papa del nostro tempo. E a breve sarà eletto il suo successore, e anche lui sarà chiamato a guidare una Chiesa e una società profondamente cambiate. Una società lacerata, ferita, bisognosa di verità, di spiritualità, di amore vissuto e non solo proclamato.

Perché non basta più parlare d’amore. Occorre testimoniarlo, metterlo in pratica. Rispettare l’altro, venerarlo, come si fa con Dio. Perché, come lo stesso Papa Francesco ci ha ricordato tante volte: “Non si può amare Dio se non si ama il prossimo”.

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