Il Tempo di questa nostra Europa, tra Rose e Spine

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Se nel 2012 l’Unione Europea è stata insignita del Premio Nobel per la Pace sottolineando il valore della collaborazione più che della contesa bellica, principio che è il suo pensiero ispiratore condiviso prima da  Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, dopo  le due grandi guerre mondiali, e in seguito Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, ci siamo chiesti come funziona questa nostra Unione europea, non fosse altro che per capire le ragioni delle politiche di questi anni, i cui risultati condizionano oggi le nostre vite, e per coglierne i livelli di sviluppo come anche di indebitamento, che ne richiamano i poteri di integrazione economica tra i 27 Paesi che ne fanno parte e che oggi, pur aumentati di numero, non sembrano essere allineati. Vero che i 27 Paesi comprendono anche alcuni territori d’oltremare al di fuori del continente, una popolazione di circa 450 milioni di abitanti che parlano più lingue tra cui inglese, francese e tedesco, ma sono stati concordi nel richiedere a se stessi che le persone possano viverci bene, con giustizia e salute, rispetto delle identità ed una economia  forte nel commercio fra un paese e l’altro.

Non a caso lo sviluppo sostenibile al quale si mira pone al centro   le Persone, per riconoscere loro dignità in un Pianeta dall’ambiente tutelato con una gestione responsabile delle risorse naturali,  la loro Prosperità in un progresso economico, sociale e tecnologico che consenta ciò che occorre per vivere bene e in
Pace, in società giuste, inclusive e pacifiche, libere, attraverso Partnership efficaci,  tra governi, organizzazioni civili e settore privato, alleanze strategiche.

Questo il senso dei goals elencati in Agenda 2030 e nella precedente,  obiettivi prioritari che ogni 5 anni vengono riproposti per dare un futuro a questa Europa libera e democratica, forte e sicura, prospera e competitiva, ed è chiaro quanto sia determinante ogni investimento in direzione di scelte strategiche alla bontà delle spese in un indispensabile equilibrio con le profonde e veloci modificazioni internazionali, geopolitiche, economiche e finanziarie, non rincorrendole ma potendole perfino prevenire.

Indubbio che investimenti e spese devono misurarsi con il tempo della realizzazione, in un contesto globale già instabile  e nella loro utilizzazione costruttiva, non fosse altro che perché sono entrate provenienti dai Paesi, il nostro tra questi, e dunque denaro pubblico.

‍Eppure tutti i giorni lamentiamo povertà e crisi a fronte di sprechi,  mancanza di lavoro, l’aumentato costo della vita che ripropone in focus il tema delle politiche estere, dunque senso e tempo europeo, rose e spine se tiriamo le somme degli anni trascorsi.  C’è voluto Trump, personalità complessa, quanto discussa, e esplosiva nei dialoghi internazionali, a sconvolgere le presunte sicurezze quando in tempo reale, brevissimo rispetto alle procedure decisionali europee, ha ridiscusso lo status delle cose nella questione dell’Ucraina, dell’ONU e dell’OMS, nelle politiche dell’Occidente rispetto a quelle dei Paesi dell’Est, nelle relazioni commerciali con i dazi, rimescolando  gli interessi delle economie entrando nella questione bellica mai risolta tra Israele e Palestina.  C’è dentro molto di più di quanto si potesse prevedere in un periodo così immediato, e forse un elemento della diffidenza nei suoi confronti è proprio questo: noi abituati alle forme diplomatiche più lente e impaludate contro quelle prorompenti e disarmanti di un uomo che nella sua impresa di presidenza considera il tempo denaro e risultato.

Se i risultati delle Agende europee sono inequivocabilmente tardivi rispetto alle previsioni, la politica dunque deve ripensare modi e tempi perché ormai sappiamo che la lentezza in economia ha costi enormi, sulle società e sulla quotidianità della nostra vita che è una sola e non viene rimandata.

Trump sta spingendo alcune delle tante condizioni che indubbiamente mettono a nudo limiti e debolezze del procedere europeo. 

E così si amplificano gli interventi per porre rammendi nelle direzioni delle logiche in elenco in Agenda 2030, quelle i cui posticipi ci rendono sempre meno competitivi in economia, tra i Paesi occidentali e Orientali e le complessità delle aree internazionali in via di sviluppo e le guerre che ne sottolineano i profondi disequilibri mai sanati. Stiamo facendo i conti con il passato, il quanto non fatto, e i conti con il valore tempo,  in tanti anni disperso.

Mariolina Frisella

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