Preoccupanti indirizzi economici oggi irrompono nel panorama internazionale e in Europa si propongono temi che avremmo creduto superati, quali il riarmo e l’ “economia di guerra”. Così mentre dai vertici USA tuonano previsioni di “dazi”, l’Europa annuncia un pacchetto da 800 miliardi per la spesa militare, ormai superate le misure e la tracciabilità dei prodotti alimentari che avevano impegnato gli accordi commerciali fino a ieri.
Il piano di ReArm Europe è stato approvato il 6 marzo dal Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo riunito in seduta straordinaria a Bruxelles che hanno deciso investimenti nel campo della Difesa dei Paesi membri oltre che a livello comunitario. Gioca molto l’idea che gli USA non sosterrebbero più l’Europa, che la NATO potrebbe non essere efficace, che si potrebbe sempre profilare una guerra con conseguenti presenze militari in EU, che in Romania è stata avviata la costruzione di una grande base Nato/Usa nel continente, il tutto ponendo in discussione la fiducia nei processi democratici europei.
Si profilano contesti economici che vanno sensibilmente mutando e la proiezione verso un potenziamento militare che comunque necessita di un necessario e forte coordinamento a livello comunitario. In primo piano la verifica dei livelli tecnologici, quell’eco-sistema capace di spingere la frontiera della conoscenza, perché tutti sappiamo che la guerra oggi si combatte con i sistemi satellitari e l’immancabile ormai intelligenza artificiale dominante l’operatività degli interventi militari.
La guerra è costo, umano prima che finanziario, che non si estingue se non dopo anni di sacrificio del popolo, unica vera vittima delle crisi, ma ha anche riflussi sulle economie e sui commerci e incidono sulle condizioni sociali già poste a dura prova negli anni passati.
Pensiamo che per la sola seconda guerra mondiale la Germania, che ha perso due milioni di vite umane e registrato 4-5 milioni di feriti, novantadue anni dopo la sua resa, ha ultimato di pagare il conto di 132 miliardi di marchi, concordato dopo il Trattato di Versailles, il 3 ottobre del 2010 il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro.
L’Italia, che dal 1940 al 1943 ha perso 3.430.000 vite umane, con i trattati di pace del 1947 si trovò debitrice di 360 milioni di dollari americani.
In tutti gli Stati le vittime militari e civili sono state in numero davvero elevato, raggiungendo ben 68milioni e 47.059 vite spezzate, affetto perso, dolore e dramma umano.
E per quanto si sia calcolato che, nella prima guerra mondiale con la conferma nella seconda, l’economia ha condotto al razionamento delle risorse di sopravvivenza ed alimentari in virtù del fatto che interi settori produttivi sono stati convertiti agli armamenti, che l’adeguamento dei sistemi produttivi, Philippe Le Billon lo ha definito, “mobilitazione e allocazione di risorse per sostenere la violenza”, comportano processi di rallentamento economico, di inflazione e di razionamento energetico, si riparla di guerra e di economie condizionate da quelle spese.
Ci auguriamo di non doverle sperimentare e che la cultura degli equilibri di pace possa riemergere, in UE come negli Stati in questo momento provati dalla guerra e in quanti sono coinvolti da interessi economici.
Ci auguriamo che la lezione della storia possa generare mediazione e risolvere le criticità per costruire ben-essere di lungo periodo.
Mariolina Frisella