Recentemente, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato una legge che introduce nuove misure per contrastare l’inquinamento causato dai Pfas, i famosi “inquinanti eterni”, noti per la loro capacità di non degradarsi nell’ambiente e per i rischi che pongono alla salute umana e all’ecosistema.
La legge approvata in Francia è stata definita “particolarmente ambiziosa”, un passo significativo per proteggere la popolazione e l’ambiente dai danni causati dai Pfas. L’adozione di questa normativa è frutto di un lungo percorso di discussione che ha visto protagonisti non solo i parlamentari, ma anche numerose organizzazioni non governative, scienziati e giornalisti d’inchiesta, che hanno contribuito a far emergere l’urgenza del problema.
Tuttavia, sebbene la legge francese segni un progresso rispetto alla situazione attuale, presenta alcune limitazioni e sorprendenti esclusioni. A differenza di quanto fatto da paesi come la Danimarca e lo stato del Maine, che hanno imposto il divieto progressivo di Pfas in una vasta gamma di prodotti quotidiani (dai cosmetici agli imballaggi alimentari, passando per l’abbigliamento e le calzature), la Francia ha deciso di introdurre un divieto più circoscritto. Dal 2026, infatti, sarà vietata la fabbricazione, l’importazione e la vendita di prodotti contenenti Pfas, ma solo in tre categorie: cosmetici, tessuti per abbigliamento (con delle eccezioni per i prodotti destinati ai professionisti, che saranno esclusi fino al 2030) e sciolina.
Un aspetto che ha suscitato delusione è stato il rinvio della questione degli imballaggi alimentari alla regolamentazione europea, che, pur prevedendo un divieto entro il 2026, non ha trovato una soluzione definitiva a livello nazionale. Ancora più sorprendente è stata la decisione di escludere gli utensili da cucina dal divieto. Nonostante l’evidente pericolo che rappresentano i Pfas nei prodotti come le padelle antiaderenti, il potente gruppo Seb, principale produttore del marchio Tefal, ha esercitato una forte attività di lobbying, riuscendo a ottenere una deroga che ha fatto salire le preoccupazioni per l’influenza delle lobby industriali sul processo legislativo.
Il governo francese ha giustificato questa scelta sostenendo che l’inclusione del settore degli utensili da cucina avrebbe comportato gravi ripercussioni sull’industria nazionale, minacciando la sopravvivenza di aziende come Tefal. In altre parole, il rischio di “uccidere l’industria francese” è stato ritenuto più grave dei potenziali danni sanitari derivanti dall’uso continuato di Pfas.

Nonostante queste eccezioni, la legge francese introduce comunque misure importanti. Tra queste, spicca l’introduzione del principio “chi inquina paga”, che obbliga le industrie responsabili dell’inquinamento da Pfas a contribuire finanziariamente alla bonifica dell’ambiente. In particolare, è stato stabilito che le aziende dovranno pagare 100 euro per ogni 100 grammi di Pfas scaricati nelle acque, con il denaro destinato alle agenzie che si occupano della gestione delle risorse idriche e del trattamento delle acque potabili. Questa misura entrerà in vigore tra un anno e peserà principalmente su grandi attori del settore chimico, come Arkema, BASF e Solvay.
La pericolosità di questo prodotto è insita nelle sue stesse caratteristiche che lo rendono resistente alle intemperie e al tempo. Il Pfas ha infatti la capacità di respingere acqua, grasso e sporco rendendolo adatto ad una molteplicità di utilizzi industriali. Proprio la sua non degradabilità lo rende particolarmente nocivo per la salute umana e l’ambiente. Studi scientifici hanno rilevato nei composti del Pfas un alto grado di tossicità in grado di provocare danni importanti che vanno dagli squilibri ormonali al cancro, a parte problemi legati all’aumento di colesterolo nel sangue, alla diminuzione delle difese immunitarie e al lento sviluppo nei bambini.
L’ambiente, inoltre, è il principale bersaglio dell’accumulo di Pfas; il suo accumulo nelle risorse idriche provoca la presenza di tossicità nei pesci e negli organismi viventi provocando il fenomeno detto della biomagnificazione che va a colpire la catena alimentare. La contaminazione nel suolo inoltre comporta l’elevata presenza di queste sostenze nelle produzioni agricole, e quindi nei prodotti di consumo giornalieri, quali frutta e verdura, da sempre considerati esclusivamente benefici per la salute umana.
Elena Grasso