Quando l’Umano diventa “Più Umano”: L’Associazione Neon per la Diversità, “Ciatu” tra le Produzioni più apprezzate

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
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“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco”

Sono le parole del filosofo Giordano Bruno che hanno rappresentato il nucleo narrativo di “Ciatu”, uno degli spettacoli più apprezzati dell’Associazione Néon prodotto nel 2015 e in questi anni andato in scena in molti teatri siciliani e italiani. L’Associazione Néon nasce nel 1989 da un’idea di Monica Felloni e Piero Ristagno, che negli anni sono stati in grado di creare una solida rete di contatti e collaborazioni nazionali e internazionali con i quali mantengono un dialogo costante e costruttivo.

La compagnia si occupa principalmente di teatro dentro il quale mette in opera la diversità umana in tutta la sua ricchezza. Protagonisti delle pieces teatrali sono diversamente abili e non, da cui la regista riesce a trarre fuori tutta la bellezza per farla danzare nello spazio visibile della scena, dove la potenza del creato si fa tangibile e ogni cosa si riassorbe nel Tutto. In questo spazio è offerta la possibilità massima di essere; è il campo delle infinite possibilità dove la parola ‘normale’ diventa insignificante, e l’intensa verità illumina ogni dubbio dissipandolo. Ad ogni spettacolo lo spettatore riesce ad entrare nell’alveo dei significati reconditi, stupendosi di fronte ad un movimento complesso e semplice al contempo: la semplicità che diventa potente e irretisce l’ ‘intelligenza’, è una potenza che spacca, immobilizza e apre uno squarcio sulla Verità.

Ciatu è uno degli spettacoli di Nèon più seguiti di sempre, un percorso che nutrito dall’elemento acqua, attraversa la vita, dalla nascita fino alla morte. Tra questi estremi temporali si intrecciano relazioni, storie, emozioni che toccano l’anima, ma non senza prima passare dal corpo, dalle sue sottili vibrazioni che cantano ferite, ma anche ri – nascite.

Ciatu è un alito di vento, non importa da dove esso proviene, è vita. “Si u ciatu di lu me cori” e non ha confini, nessun limite alla natura dove dimora Dio. Fu così anche per Giordano Bruno, il filosofo del ‘600 a cui si ispira Ciatu; “il più grande uomo del mondo”, come ebbe a dire lo scrittore José Saramago in un suo breve racconto, colui che scosse le fondamenta delle certezze religiose del tempo, che vedeva il divino in tutto, in ognuno, nella natura soprattutto. E così Ciatu è “impastare l’aria, spingere il mare, cercando gli occhi che parlano incandescenti, parole libere per chi vuole ascoltare” perché “Ordine è la disposizione visibile nello spazio delle risposte, per chi vuole vedere e nessun ordine si ritrova dove non c’è alcuna diversità”. In scena diverse modalità di essere al mondo, senza discriminazione, scelta o giudizio che sia; esseri differenti per provenienza, estrazione sociale, culturale o per abilità e disabilità.  I ragazzi di Nèon tessono tele intrecciando i fili dell’esistenza, ognuno per mezzo della propria unicità, eppure all’interno di un cosmo condiviso, respirato insieme.

Il risultato è un’armonia di suoni, di colori, di visioni che rendono l’idea dell’ ordine necessario. La regia di Monica Felloni non trascura mai la parte animistica della recitazione, arricchita da luci ad effetto, teli che volano leggiadri, danze effusive che catturano i sensi: come l’ “essere così”, come l’ovvia complessità, come la purezza dei visi, coma la semplicità disarmante dei disabili, che sul palco vivono intensamente la parte, una seconda pelle, una missione alla quale non si sottraggono anzi, vivendo il senso del darsi e non del ricevere, regalando al pubblico dimensioni nuove, emozioni mai vissute, pianti interni e inaspettati sorrisi.
Ed è dalle parole di Giordano Bruno che udiamo l’urlo di affermazione della vita e come questa è stata intesa dal Nolano in un periodo non facile per la libertà di parola: “Io sono fuggito di qua e di là scomposto dal vento. Ho affermato la vita e nulla ho tralasciato. E’ stato il corto circuito tra il nuovo e l’antico ad avermi ammazzato. Mi ha sbranato il mito.”Perché?” Perché ne vedevo la bellezza in ogni forma. Il tutto è perfetto. Ognuno è un tutto. Mi ha bruciato la storia viva che non lascia il passo. I morti tornano vivi. Mi parlavano dalle pagine, dagli astri, dalle celle, dai sarcofaghi, da tutte le parti. Il mio tempo, invero, si preparava al ritorno. “Perché?” Io sono un martire del vincolo d’amore, della necessità del tutto, che non è una totalità. Ho affermato la mia vita, ho affermato, la vita. E nulla ho tralasciato. Io sono un martire indolente, un grande impenitente, che lascia sempre le cose a metà. Mi ha bruciato la storia, viva, che non lascia il passo. Voi! Lo chiamate Rinascimento? Io, lo chiamo Irruzione! Io sono il filosofo, il mago, il chirurgo e l’alchimista, il poeta e lo scienziato, il filosofo invasato, io, sono il martire indolente,un grande impenitente che lascia sempre le cose a metà. “Oh, potenza d’incanto! Avrò memoria della risposta! Troverò il tuo filo di voce!” Se avrò parole da dire, sarà tuo compito decifrare il mio fiato, indeterminato fluttuare d’azzurro.

Giordano Bruno fu condotto al rogo con la lingua inchiodata nella mordacchia, non per suo difetto, ma per torto di fortuna. Non rinunciò mai a sé, non barattò la ricerca per la consolazione perché, come lui stesso affermò “sono vituperosi quelli che nel mezzo dell’impresa, disperati, si fermano, e non arrivano a toccare il termine, con quella lena e vigore che gli è possibile. Venga, dunque, la perseveranza, perché, se la fatica è tanta, il premio non sarà mediocre”. Sognato da umanità di fuoco e tempesta, ultimo saluto, colorato epigono, multicolore gaudente,mutilato nelle ali, violenza e profanazione al bene, che lui considerava massimo. La dignità di aver parola.


I testi di “Ciatu” sono gli originali di Piero Ristagno, Danilo Ferrari, Stefania Licciardello, Manuela Partanni, Chiara Tinnirello. Monica Felloni è la regista. Nata a Ferrara, intraprende la formazione come attrice incontrando numerosi registi e gruppi internazionali quali Sherad Zade, Le Théatre du Soleil, il Teatro di Grotowsky. Significativo il suo soggiorno in India per la danza Bharatanatyam. Rientrata in Italia, partecipa, in qualità di attrice, alla produzione internazionale di Thierry Salmon “Le Troiane” per le Orestiadi di Gibellina. Il suo amore per la Sicilia l’ha portata, nel 1989, a fondare insieme a Piero Ristagno, l’Associazione Nèon che opera sulla scena con il coinvolgimneto di attori disabili e non. Una scommessa che finora si è rivelata vincente, un modo di intendere la vita e comunicarla. Un corpo, una voce, un “Ciatu”.

Elena Grasso

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