Si dibatte di previdenza sociale, la pensione, almeno al farsi di ogni governo ed in questi giorni è ritornata in cronaca e certo il sistema pensionistico, nato già nel 1861, va rivisto in funzione delle modificazioni sociali che intervengono con estrema velocità, non ultime le nuove filosofie di vita. Perfino sulle più recenti cosiddette ri-forme ci sarebbe qualcosa da ridire, a partire dal 1973 con il governo Rumor e le “Baby pensioni”, dalle Riforme De Michelis e Amato del 1983 e del 1992 alla Riforma Dini del 1995, Maroni del 2005, Prodi del 2007-2009, Sacconi del 2010, fino alla ormai nota Riforma Fornero del 2011, con la dibattuta Quota 100 del 2019.
Il fatto è che si continua a tradurre in indicatore statistico il principio di speranza di vita volendolo piegare a rigide regole amministrative con la conseguenza che, se da una parte si alimenta fiducia nel futuro, che è attesa di soddisfare il desiderio di sogni ancora da realizzare, dall’altro se ne mortificano significati e limiti. Ne rimane offesa inevitabilmente la potenzialità perché il tema amministrativo del pensionamento si associa alla difficoltà del suo stesso finanziamento e alla percezione dei perché del vivere dopo i quaranta, o quarantuno o quarantatré anni di lavoro. Perfino l’uso simbolico del verde-speranza nell’avvenire arrivando alla “pensione” diventa rappresentazione di assenza di denaro!
Quel numero medio di anni della vita di un essere vivente, all’interno della popolazione indicizzata determina per molti il quanto poco deve “pesare” la speranza di vita e discrimina inevitabilmente il lavoratore pensionato in ogni dimensione e perfino in quella della dignità.
Forse non errava la saggezza popolare di quel proverbio che ripete “chi di speranza vive disperato muore” quasi un monito a non fidarsene nonostante la locuzione di Cicerone “Aegroto dum anima est, spes esse dicitur” che significa Finché c’è vita c’è speranza.
Sono le strane alchimie del pensiero che entra nelle contraddizioni pretendendo di coniugare una emozione-stimolo ad un luogo mentale di riposo per occupare il quale qualcuno ha calcolato la pensio, la rata da pagare e il suo peso misurato al tempo dell’età non quale risorsa preziosa ma come grigio indicatore di sopravvivenza.
Se pesare e pagare derivano dall’usanza antica di far corrispondere la moneta a una certa quantità di un certo metallo, deve esserci stata una grave inflazione del pensiero filosofico matematico perché ci rendiamo conto che il “peso” non corrisponde più alla speranza di vita né alle condizioni che attengono la funzione della persona per se stessa, per la famiglia, per la società e le condizioni del suo esistere. Oggi quel peso sociale sembrerebbe rappresentare l’attesa di un “riposo-ritiro” associabile a quiete e sosta, piuttosto che fiducia da mantenere in ogni individuo per ottenerne miglioramento della propria autostima e della sua produttività sociale ancora da spendere indipendentemente dal numero di anni. E piuttosto che calcolarne le maggiori e differenti esigenze, non ultima la buona salute, si induce al triste pensiero che quiete e tranquillità significano minori e residue necessità di vita, oggi concetto non sostenibile per una popolazione che invecchia ma non demorde.
Ho molti dubbi in merito al sistema che guarda indietro piuttosto che avanti, àncora le economie e le tassa pesantemente piuttosto che farne impresa, contraddice il significato di speranza che è un processo culturale dell’avvenire-presente e per suo libero principio non può tradursi in mero calcolo numerico. I limiti del tempo e del denaro, per i più, abbattono l’emozione, disorientando la percezione della propria capacità di perseguire i goals-obiettivi, i percorsi cognitivi del realizzarli, e quel che è peggio mortifica in ciascuno l’energia mentale interiore che dà forza e fiducia per produrre capacità imprenditoriale di se stessi.
La statistica è uno strumento di analisi che non può trovare la sua sintesi nel limite amministrativo delle casse dello Stato che non trova le risposte che potrebbero esserci se si guardasse meglio ad altre spese. Va ragionata accompagnando le evoluzioni e le modificazioni esistenziali, deve tener conto che se si spera ci si trasforma in risorsa costruttiva e spendibile dalla quale ricavare economia positiva che influenza il sociale. Occorre rivederne la prospettiva per reimpostare un sistema che scricchiola. Ed è scontro sui significati.
Mariolina Frisella