“……..I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
Difficile, lo abbiamo già presunto, riconoscere la dimensione giuridica dei principi di disciplina e di onore, se non nel fatto che sono un dovere di chi esercita funzioni pubbliche. Ritorna sempre il dubbio se i politici lo siano ed è un punto sostanziale per il cittadino che si chiede quali siano i suoi mezzi di controllo in merito.
Affidare è frutto di una fides che costruisce il modo e i significati di evoluzione del rapporto istituzionale, una responsabilità l’affidarlo a qualcuno quanto l’accettarlo da qualcuno. E se il principio è da spendersi concretamente nelle funzioni pubbliche, e in quelle politiche, il cittadino può chiedersi quale sia il mezzo di controllo giuridico e quali leggi può pretendere che vengano applicate se si manca nell’esercitarle.
L’onore attiene alle qualità morali della persona, onestà e lealtà, a quelle intellettuali, istruzione e educazione per intelligere e agire, e a quelle fisiche che attengono la salute.
Chi le possiede gode di reputazione positiva che è il merito riconosciuto socialmente ma è anche pressione e indirizzo comportamentale proprio quando si vuole essere rispettati più che provare vergogna nel pubblico ludibrio.
Il punto è se il senso dell’onore è una spinta prioritariamente personale, lo “stimulo ardente” come lo chiamava il Guicciardini, che non dipende dal riconoscimento sociale, dunque riguarda un impegno della coscienza, auto-motivazione derivante da propria soddisfazione per cui addirittura si sente forte il valore della sua difesa, o è una esigenza – desiderio della stima altrui perché socialmente riconosciuta e pertanto ugualmente motivante ma spinta da principi morali accettati dalla collettività e quindi permeanti il vivere sociale.
Il confine sembrerebbe molto debole e le implicanze sono molteplici, non fosse che per decifrare il corretto significato dell’art.54, specie se si prende atto del relativismo imperante.
La cultura dell’onore oggi è diversa da quella che ha ispirato la sua approvazione nell’Assemblea Costituente del 22 dicembre 1947, all’interno di tutte le leggi della carta costituzionale italiana.
In vigore dal 1º gennaio 1948 non possiamo non tener conto dei lunghi e complessi 77 anni che sono trascorsi modificando perfino le ragioni di alcune norme in un processo di cambiamento radicale di valori, forme e contenuti. Modificazioni che intervengono nella società come nel singolo frapponendosi e mescolandosi a nuove interpretazioni che ne stravolgono il senso.
Così si ha l’impressione che “onore” appartenga ad una certa tradizione che intendeva difenderne il principio ma legata appunto a quel momento storico, geografico, politico perché già il filosofo politico liberale Edmund Burke, nel corso del 1700 scrivendo le sue Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, aveva presagito: “L’età della cavalleria è finita. Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria dell’Europa giace estinta per sempre”.
Il cittadino oggi potrebbe chiedersi a che punto sta quell’onore nel bilancio amministrativo a fronte della debolezza del suo significato e della sua direzione oggi, a meno che non aggettiviamo diversamente il termine. Non a caso ne trattiamo l’esigenza attuale del dovere chiarire.
Mariolina Frisella