C’è confusione quando si parla di solidarietà, lemma che specie in questi giorni di festa natalizia incorre spesso negli interventi pubblici e privati.
Siamo portati a credere che si esaurisca nel principio del sentirsi fraternamente accanto, come è la funzione delle associazioni che si costituiscono per questo, per donare sorrisi o ciò che serve a chi ha bisogno, per salvare vite o per la ricerca che non è un obiettivo privato in quanto prevenzione tra i compiti dello Stato.
È vero che le parole distratte da interpretazioni del momento inducono a convincersi di altro, però la solidarietà non è beneficienza di privati.
Quelle donazioni, alle quali siamo chiamati anche per televisione, in effetti nascondono più gravi vuoti amministrativi perché se donare a chi ha bisogno è un bel gesto e riempie il cuore, non dovrebbero esserci persone che vivono ai margini in uno stato di bisogno, violate nella loro dignità e nei loro diritti, invisibili se non per aiuti di tipo personale.
Nella nostra Repubblica non si dovrebbe giustificare il persistere di tali condizioni stante l’art.2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Non ci sono dubbi: la Repubblica, dal latino res publica e non il privato, deve garantire quei diritti “inviolabili”, proprio in quanto cosa pubblica e forma di governo di un sistema politico in cui il popolo esercita la sovranità delegando agli amministratori pubblici e politici, il dovere di dare risposte garanti di diritti inviolabili contro ogni povertà perfino sotto i livelli della sopravvivenza.
Nell’esercizio delle responsabilità di ciascuna parte, diritti ma anche doveri, l’“adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” richiesto non è da intendersi genericamente.
È un dovere obbligatorio, ineliminabile, indifferibile, una garanzia che non può essere esente dall’inevitabile riscontro. Non si conclude con il soddisfatti o rimborsati se quei diritti inviolabili sono violati e se i doveri inderogabili sono differiti. La vita umana non si rimborsa.
Si esprime nella cittadinanza, particolare vincolo politico e identitario che per non rimanere sul piano ideologico deve essere amministrato. Per questo rimanda inevitabilmente al bilancio dello Stato gestito dai politici in sede legislativa, esecutiva e finanziaria che serve a garantire quelle tutele in concreto decidendo le spese programmate allo scopo.
Entrate ed uscite, questo il gioco in bilancio che deve pareggiarne i conti. Eppure accade che persone e cittadini, il popolo, si ritrovino in un aumentato debito pubblico pur permanendo nello stato del bisogno, limitato e condizionato il loro vivere in dignità. Nel riscontro pratico e quotidiano significa chiedersi a che punto sta il farsi dei diritti inviolabili tra cui la vita, l’integrità e la salute, l’istruzione e la cittadinanza nella propria nazione, la difesa e la fedeltà, onori e obblighi.
E dire che ciascuno di noi esercita già solidarietà economica nel pagare in solido le tassazioni che contribuiscono a formare il bilancio dello Stato.
All’art. 53 della stessa Costituzione italiana si legge: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. La copertura finanziaria dunque dipende dalla programmazione delle spese, come si gestiscono in famiglia quando si eliminano quelle non essenziali, altrimenti si rischia di andare in rosso.
Nella topografia costituzionale la solidarietà politica, oltre al concorso alle spese pubbliche, il voto all’art. 48, la difesa della patria e il servizio militare all’art. 52, la fedeltà alla Repubblica, all’art. 54 comprende quell’osservanza alle sue leggi costituzionali, e il dovere di adempierle con disciplina e onore, che non è addebitabile ai soli cittadini e riguarda anche gli affidatari di pubbliche funzioni e i politici, cittadini anche esse.
È l’articolo forse più distratto nella bilancia di diritti e doveri che sembrano appartenere a piani diversi, che non si incrociano specie quando sembra che non ci siano responsabilità in solido per quanti quei diritti irrinunciabili e inalienabili non concretizzano. Il dovere è responsabilità e non probabilità di trovare e dare risposte.
Necessario valutare dunque i significati del “dovere con disciplina e onore di adempiere alla Costituzione”.
Difficile trattare di doveri in contesti come il nostro in cui si indugia molto di più sui diritti e difficile trattare di disciplina e onore che sembrano ampiamente interpretabili.
Eppure non è solo un giuramento davanti al Presidente della Repubblica che rafforza l’inderogabilità della solidarietà politica.
E non è una speranza da rimandare al futuro.
Maria Frisella