Per la fine dell’anno non può mancare un buon piatto di lenticchie e devono essere veramente un augurio di speranza se, come tutti i semi delle piante leguminose appartenenti all’ordine delle Fabales che a maturità avvenuta escono dal baccello, sono riconosciute dalla FAO un alimento versatile, nutriente e a basso impatto ambientale. Ai legumi tutti l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su proposta dell’Agenzia dell’ONU per l’Ambiente, ha dedicato il 10 febbraio quale Giornata Mondiale.
Eppure di certo la celebrazione delle lenticchie è il 31 dicembre.
Vengono da lontano, hanno viaggiato per il mondo, si sono adattate al clima legandosi a territori specifici e a comunità, ne hanno influenzato tradizioni sociali e culinarie.
Erano presenti in Israele circa 19000 anni fa, nel paleolitico, e 15000-13000 anni nella Grotta di Franchthi, in Grecia. Tracce di antiche coltivazioni di leguminose sono state trovate in una grotta nel nordovest della Thailandia e possiamo immaginare l’uomo ancora cacciatore che ne raccoglie i baccelli selvatici prima fino a scoprire poi le tecniche agricole e a coltivarle insieme a orzo e farro.

Anche in Sicilia, nel sito della Grotta dell’Uzzo a Trapani, sono stati ritrovati semi di leguminose coltivate, si tratta di lenticchie e cicerchie, risalenti proprio agli inizi della rivoluzione agricola di circa 8000 anni fa.
Dal 7000 a.C. ne abbiamo traccia nella zona compresa fra la Siria e l’Iraq, la mezzaluna fertile dalla quale le lenticchie sarebbero state diffuse nei paesi Mediterranei grazie al trasporto delle merci e ai commerci navali specie egiziani. Da Alessandria d’Egitto, ad esempio, venne trasportato a Roma l’obelisco di Piazza San Pietro in Vaticano, avvolto in ben 120 mila misure di lenticchie ma gli egizi, già 500 anni prima di Cristo, rifornivano i porti di Grecia e Italia delle loro lenticchie. Insieme a loro si trasferivano i significati allegorici che le accompagnavano come quel “vendersi per un piatto di lenticchie” per cui il popolo ebraico associava la lenticchia a una idea di iniquo scambio e irresponsabile. In effetti il testo proviene dalla Genesi e narra di quando Esaù, rientrato affamato dalla campagna, vide Giacobbe che aveva cotto delle lenticchie e promise al fratello la sua primogenitura pur di averne un piatto in cambio. Un messaggio di irresponsabilità e poi metafora della vita, per cui il popolo ebraico legò le lenticchie al lutto. Erano comunque apprezzate per il forte valore proteico tanto che in Grecia, per quanto considerato un legume delle cucine umili, era prezioso nei giorni di magro consumato in zuppe e minestre.
Ippocrate le consigliava agli uomini anziani, per potenziarne la virilità e Aristotele le consumava condite con l’afrodisiaco zafferano mentre Plinio il vecchio ne rivalutò sapore e benefici nutritivi.
Rimase un legume per i poveri ma i romani ne decretarono la fortuna. Traendo spunto dall’etimologia lens che ne indicava la forma piccola, rotonda e piatta come una moneta, e considerato che le lenticchie a parità di peso rispetto ad altri legumi risultavano numericamente superiori e cotte nel piatto aumentavano di volume. Per loro divenne una semplice ma efficace rappresentazione di prosperità e ricchezza. Dunque al capodanno romano festeggiato prima il 1 di marzo entrò in uso regalare la scarsella, il borsellino di cuoio, piena di lenticchie che avrebbero potuto portare prosperità tutto l’anno. Anche quando il capodanno venne spostato al 1 gennaio le lenticchie rimasero l’augurio di ricchezza.
Non importa il loro colore, né le dimensioni che possono essere piccole, medie o grandi, il piatto di lenticchie è ormai un simbolo del capodanno, tradizione e calore.
Così in molte cucine dell’ennese si prepareranno le più grandi lenticchie nere di Villalba, presidio Slow Food e PAT, magari per accompagnare il baccalà o nella classica zuppa, o ad Ustica le più piccole d’Italia come contorno di zampone o cotechino.
Saranno per molti la speranza di trasformarle in monete ma per tutti la certezza che sono il prodotto della terra capace di sostenibilità alimentare e ambientale.
Questo è già un buon augurio.
Maria Frisella