È il rito antico che si ripete ogni anno dal 1223 quando San Francesco fu autorizzato da Papa Onorio III a celebrare il Natale nel paese di Greccio.
“Betlemme è qui”, sostenne Francesco e la Messa venne celebrata con un altare portatile sopra una mangiatoia con del fieno e accanto il bue e l’asinello. Dal latino praesepium o praesepe il lemma indica proprio la mangiatoia e gli elementi tipici della tradizione della nascita di Cristo. Incredibilmente non c’erano Maria, Giuseppe e gli Angeli. Non c’era Gesù perché Francesco voleva “vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza della cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asino”. In quel neonato la solennità semplice del Dio fatto bambino e la povertà sofferta ancora oggi dagli invisibili.
Un primo messaggio forte, al quale sono seguiti il primo presepe artistico, con le sue otto figure scolpite in legno da Arnolfo di Cambio nel 1283, questa volta con la natività e i Magi.
Quando si diffonde per trionfare pienamente nel 1700, il Presepe si arricchisce di sfumature che raccontano il senso sociale e umano attraverso paesaggi e personaggi. Pure se i materiali sono diversi, dalla terracotta al legno o alla plastica, alla cartapesta, dal cotone ai materiali di riciclo o alla pasta, dal corallo e dall’avorio dei presepi trapanesi, con le figure che oltre l’origine evangelica vanno anche al più attuale personaggio che ha fatto parlare di sé, tutto ne racconta l’ evoluzione e chi siamo.
Scopri quanto significativa sia la narrazione dell’ambiente, attraverso i doni della terra, semplici ma essenziali, che i contadini e i pastori con le loro pecore offrono, chiamati a conoscere il nuovo nato. Un richiamo al rispetto di ciò che è vita e dà vita. Così si legge la natura con il mulino e la sua ruota che gira l’inarrestabile scorrere del tempo, l’acqua e il pozzo che simboleggia la comunicazione tra terra e inferi, vita e morte, cielo e terra.
Ed ancora la stagionalità dei dodici venditori di cibo, uno per ciascun mese dell’anno perché ogni figura non è lì a caso.
Prendono corpo il macellaio-salumiere che rappresenta gennaio, quando si uccide il maiale e se ne conservano le parti essiccate per i tempi duri, il venditore di formaggi che a febbraio rimesta il latte cagliato che ha bisogno di fermentare per crescere, come il tempo, e a febbraio si vendevano caciocavalli, pecorini e latticini da conservare; il pollivendolo a marzo perché in questo mese si compravano gli animali da cortile per poi farli crescere e produrre uova, simbolo di rinascita e fecondità che il pastore vende ad aprile, mese che sempre coincide con la Pasqua cattolica e che rappresenta la speranza; a maggio il venditore di frutta e ciliegie per il mese degli sposi, a giugno il panettiere perché è il tempo delle messi, a luglio il venditore di pomodori che maturano e il venditore di cocomeri per segnare agosto, settembre con il venditore di fichi e di semi, simbolo di fertilità e benessere da un lato, dall’altro di lussuria, peccato e morte, intento a raccoglierli pallido e con i capelli bianchi; c’è il vinaio per rappresentare ottobre insieme al cacciatore Cidonio mentre per novembre è il venditore di castagne. Il pescivendolo, o il pescatore Ruscellio, rappresenta dicembre, il mese della nascita del figlio di Dio che è soprattutto pescatore di anime.
Ogni figura è espressione di un modo di essere.
Tra tutti scopriamo ‘u Sbaundatu, o scantatu ra stidda, che indica la stella cometa con meraviglia, ’u Zu Innaru, Zio Gennaio, il pastore accanto al fuoco acceso che offre il ceppo a Giuseppe e Maria per riscaldare il loro piccolo Gesù, Susi Pasturi, susirisi in siciliano significa svegliarsi, il pastore addormentato che dorme a distanza. Un mistero? No, un simbolo. Lui sogna il presepe attendendo il Natale annunciato dagli angeli proprio ai pastori dormienti perché sono legati al mondo spirituale con più forza. Se si svegliasse tutto finirebbe, anche il presepe, perché il suo sogno è il percorso spirituale che ci farà vedere il mondo, ferma quel momento in cui è possibile tutto, perfino sognare i propri sogni. La speranza non può lasciarci e Susi Pasturi deve continuare a vegliare come lo fa il pastore Benino del settecentesco presepe napoletano.

Ed ecco la dualità anche ne o’ Presebbio ambientato al tempo del Carlo III di Borbone, riservato a classi nobili e aristocratiche che potevano acquistare sete e stoffe pregiate per le figure, in stile quasi rococò: da un lato il mistero, la capanna, la Sacra Famiglia, il bue, l’asino, gli angeli, dall’altro il diversorio, che accanto a pastori e contadini, pescivendoli, fruttivendoli e salumai, non trascura i giocatori d’azzardo, l’oste, la lavandaia e la zingara, gli animali, uno spaccato di realtà con le sue differenze tra vizi e virtù, tra sacro e profano, simbolismi religiosi e terreni nell’alternanza tra bene e male.
Nessuno viene escluso. Nemmeno Cicci Bacco, eredità pagana del culto del vino e dell’ebrezza, con un fiasco tra le mani, o seduto su un carretto pieno di botti di vino, in compagnia di chi suona la zampogna o il piffero scandendo ritmi dionisiaci. Dunque rappresenterebbe Dionisio, nelle processioni medioevali insieme a figuranti vestiti con pelli di capra che suonavano zampogne. Il paganesimo è simboleggiato anche da colonne di un tempio diroccato, vinto dal cristianesimo della grotta.
Non mancano l’oste, con il viso rubicondo, il grembiule sporco e la pancia prominente, e la sua osteria, quel luogo demoniaco del piacere, poiché ospita gioco d’azzardo, prostituzione e la fame da appagare, espressione della dimensione materiale del quotidiano.
E accanto c’è il forno con il fornaio che prepara il simbolico pane di Cristo e dell’Eucarestia, tra i personaggi la zingara che prevede il futuro e con esso la passione di Gesù. C’è anche la lavandaia posta come testimone della nascita del bambino: rappresenta le levatrici e la purezza di Maria perché nel racconto allegorico i tessuti e le coperte usate per il parto devono essere linde e candide, anticipando perfino il senso dell’igiene e della prevenzione.
Ci siamo noi, ancora forse uguali nei caratteri, in contesti mutati dal progresso. Speriamo sempre, incapaci di dare senso alle ragioni della vita, distratti. Betlemme è ancora qui.
Prof.ssa Mariolina Frisella