Ci siamo chiesti quanta strada si sia percorsa dalla emergenza alla prevenzione dell’AIDS dovuta alla diffusione del virus HIV, un virus che dal 1981 ha ucciso oltre 25 milioni di persone.
La giornata mondiale contro l’AIDS si celebra il 1 dicembre di ogni anno dal 1988, da quando l’idea fu proposta al Summit mondiale dei Ministri della Sanità, e da allora condivisa da governi, organizzazioni e associazioni internazionali.
Dal 1987 al 2004 si fece carico degli interventi l’Unaids, l’organizzazione delle Nazioni Unite preposta alla lotta contro l’AIDS, individuando ogni anno un “tema” sul quale focalizzare la sensibilità mondiale. Dal 2005 la Giornata fu organizzata dalla WAC, un’organizzazione indipendente. Un notevole impegno a fronte di circa 3,1 milioni di vittime di AIDS solo nel 2005, di cui 570.000 erano bambini, dunque oltre la metà.
Oggi, quali dati?
Dal 2000 i programmi indirizzati a prevenire la trasmissione dell’HIV da madre a figlio hanno consentito di diminuire i nuovi casi di HIV tra i bambini sotto i 14 anni del 38% dal 2015, mentre le morti legate all’AIDS sono calate del 43%.
Si è intensificata la copertura della terapia antiretrovirale tra le donne in gravidanza e allattamento affette da HIV: l’Uganda ha quasi raggiunto il 100%, la Tanzania il 98%, il Sud Africa il 97%, il Mozambico e lo Zambia il 90%, l’Angola e il Kenya l’89%, lo Zimbabwe l’88% e la Costa d’Avorio l’84%.
Eppure, per quanto l’accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali risulta migliorato, il rapporto di UNICEF e Alleanza Globale registra ancora una drammatica mortalità: nel 2023 sono stati 76mila i morti fra gli under 14, 120mila infezioni e 49.000 decessi registrati nei 12 Paesi dell’Alleanza Globale. Incredibile dato, risultano contagiati dal virus dell’AIDS ancora circa 120.000 bambini sotto i 14 anni.
Quali condizioni persistono?
I dati differiscono nelle Regioni ma generalmente permangono elevati i rischi dovuti al divario terapeutico, alla questione femminile, alla vulnerabilità dovuta alle violenze.
Anurita Bains, direttrice associata HIV/AIDS di UNICEF, sottolinea:
“è preoccupante che il divario di trattamento tra adulti e bambini continui ad aumentare”. Solo il 57% dei bambini con HIV riceve un trattamento salvavita, rispetto al 77% degli adulti. “Senza test e cure precoci ed efficaci, l’HIV rimane una minaccia persistente per la salute e il benessere di bambini e adolescenti e li espone al rischio di morte”.
Un divario terapeutico che i governi dovranno superare, specialmente nell’Africa occidentale e centrale.
Altrettanto grave la questione al femminile dell’HIV: nel rapporto del 2023 si evidenziano 210.000 nuovi casi di HIV tra le ragazze e le donne dai 15 ai 24 anni a livello globale, con 130.000 casi nei Paesi dell’Alleanza Globale, quattro volte superiori all’obiettivo del 2025 di 50.000 casi. UNICEF indica la inderogabilità della prevenzione in questa fascia d’età sia per proteggere la salute e il benessere delle giovani donne sia per ridurre il rischio di nuovi casi tra i bambini“.
Alla questione femminile si aggiunge quella delle disuguaglianze di genere e delle violazioni dei diritti umani: in entrambi i casi siamo in presenza di una elevata vulnerabilità delle donne all’HIV che riduce la loro possibilità di accedere a servizi di base. Quasi una donna su 3, ragazze adolescenti e giovani donne, hanno subito violenza da parte dei partner”.
Sono trascorsi 36 anni dal 1988, e rimane urgente prevenire l’ epidemia mondiale di AIDS se nei Paesi dell’Alleanza Globale con dati disponibili, ancora si è distanti dall’obiettivo di garantire entro il 2025 la riduzione al meno del 10% delle donne che vivono con l’HIV e la riduzione delle disuguaglianze di violenza di genere.
Dunque ancora la sfida di garantire che i 17,1 milioni di persone bisognose di cure, tra cui 1,2 milioni di bambini, possano accedere ai medicinali.
Ma in quanto alla prevenzione, rimane ancora da chiedersi quanta consapevolezza circoli all’interno dei Paesi più colpiti dalla malattia e quanto ancora da fare ci sia per garantire una vita dignitosa a delle popolazioni che da sole non hanno la forza di rialzarsi.
Prof.ssa Mariolina Frisella