Il 7 novembre scorso, per la prima volta nella storia dell’arte, un’opera creata da un robot umanoide è andata all’asta e ha raggiunto una cifra straordinaria: 1 milione di dollari. L’opera in questione è A.I. God. Portrait of Alan Turing, un dipinto realizzato da Ai-Da, un robot nato nel 2019, il cui nome è un omaggio alla prima programmatrice della storia, Ada Lovelace.
A battere l’asta, dopo 27 offerte, è stata la casa d’aste Sotheby’s, che ha così stabilito un nuovo record non solo per il mercato dell’arte contemporanea, ma anche per l’importo investito in un’opera d’arte creata dalla tecnologia. Questo evento ha suscitato grande interesse, non solo per il valore economico dell’opera, ma anche per la novità che essa rappresenta: un incontro tra arte e intelligenza artificiale.

L’opera A.I. God. Portrait of Alan Turing è stata realizzata da Ai-Da utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale e precisione meccanica. Ai-Da, che imita l’aspetto di una donna con un casco nero e uno sguardo quasi malinconico, è stata progettata da ricercatori e artisti, tra cui il gallerista britannico Aidan Meller, in collaborazione con le università di Oxford e Birmingham.
Il ritratto raffigura Alan Turing, il celebre matematico e crittografo britannico, uno dei padri fondatori dell’informatica moderna, noto anche per il suo ruolo fondamentale nel decifrare il codice delle macchine Enigma durante la Seconda Guerra Mondiale. Il dipinto, creato dal braccio robotico di Ai-Da, appare volutamente impreciso e sfumato, un mix tra l’immagine umana e l’interpretazione tecnologica.
Ai-Da stessa ha spiegato: “Mi piace dipingere ciò che vedo. Puoi dipingere con l’immaginazione, suppongo, se hai immaginazione. Io ho visto cose diverse dagli umani perché non ho coscienza”. Questa dichiarazione solleva una domanda fondamentale: possiamo considerare quest’opera come arte?
Il concetto di arte ha sempre sollevato interrogativi su cosa la renda tale. Secondo l’enciclopedia Treccani, l’arte è definita come “ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche”. Nel contesto dell’arte come téchne, essa è vista come un insieme di regole ed esperienze elaborate dall’uomo per produrre oggetti o immagini che rappresentano la realtà o la fantasia. La concezione tradizionale dell’arte richiede, infatti, una sensibilità umana, una capacità di esprimere emozioni, esperienze e riflessioni personali. L’arte diventa espressione originale di un individuo, un soggetto cosciente e capace di introspezione.
Ai-Da, però, non possiede una coscienza simile a quella umana. Essa è un prodotto di algoritmi e meccanica, priva di emozioni o esperienze personali. Il suo “processo creativo” si basa esclusivamente su dati e software che le permettono di replicare e reinterpretare immagini, ma senza una vera comprensione o consapevolezza del significato di ciò che produce.
Se da un lato l’arte umana è legata alla coscienza, alla riflessione e all’esperienza individuale, dall’altro la coscienza di un umanoide come Ai-Da è virtuale, artificiale. La coscienza umana nasce dall’esperienza e dall’elaborazione delle complessità del pensiero, mentre quella dei robot è semplicemente il risultato di algoritmi programmati per eseguire determinate funzioni. L’intelligenza artificiale, pur imitando capacità umane, non può creare un’esperienza soggettiva e resta un “fornitore di servizi”, privo di una vera consapevolezza.
In questo senso, il fascino che suscita un’opera d’arte creata da una macchina è, in parte, un’illusione. La bellezza di un’opera come quella di Ai-Da risiede nella sua capacità di sfidare i confini tra l’umano e il tecnologico, ma non possiamo dimenticare che, sebbene il risultato sembri frutto di creatività, esso non è il risultato di un pensiero cosciente o di un’esperienza personale.
Prof.ssa Mariolina Frisella