For the Game: Il calcio riesce davvero ad unire tutti?

7 minuti di lettura

La coppa UEFA è iniziata e già si prospetta il campionato mondiale  di Calcio 2026. Una  Coppa del mondo che coinvolgerà 48 contendenti, di più rispetto ai 32 precedenti, e che si giocherà in tre nazioni, Canada, Messico e Stati Uniti; 104 partite, la prima delle quali sarà disputata l’11 giugno allo Stadio Azteca di Città del Messico. 

Un fascino inarrestabile visto che il calcio è diffuso in tutto il planisfero, capace di unire, affiliare sei confederazioni e 211 associazioni nazionali, nei continenti Asia, America settentrionale, America centrale, America meridionale, Oceania e Europa.

Il calcio, simbolo di passione e competizione, è spesso al centro di dibattiti: può essere davvero un dialogo? La risposta non è sempre univoca. Storicamente, il calcio è stato interrotto in momenti di grande conflitto, come durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il campionato fu sospeso nel 1942 e nel 1946. Tuttavia, il gioco è ripreso ogni volta che la pace è tornata, dimostrando che, nonostante le difficoltà, il calcio è un’attività che continua a vivere come espressione ludica di massa.

Nel Medioevo, però, il calcio fu proibito, almeno inizialmente, per i religiosi e poi anche per la popolazione in generale. Questo divieto era dovuto alle violenze e ai tumulti che spesso scaturivano dalle partite, nonché al fatto che il gioco sottraeva uomini dalle attività militari, necessarie in periodi di guerra.

Oggi, purtroppo, la violenza non è sparita dagli stadi. L’aggressività tra i tifosi è ancora un fenomeno preoccupante, e non sempre è il gioco stesso a generarla, quanto piuttosto la tensione che si accumula tra i sostenitori delle diverse squadre. L’emozione di tifare per una squadra, di sentirsi parte di essa, può trasformarsi in un’onda di rabbia, che esplode in reazioni violente, come nel caso di una decisione arbitrale controversa, ad esempio un rigore.

Ma perché il calcio genera queste forti emozioni? La risposta sta nel fatto che ogni istante della partita è vissuto come un evento personale, come se fosse parte della vita stessa dei tifosi. L’entusiasmo per la vittoria o il dispiacere per la sconfitta diventano sensazioni che si intrecciano con la propria esperienza di vita. Il gioco del calcio, in questo senso, va oltre ogni barriera sociale e linguistica: la palla che corre sul campo è un elemento universale che unisce, almeno simbolicamente, tutti i tifosi, chi gioca e chi guarda.

Il Calcio: Un Gioco Millenario

Il fascino del calcio risiede anche nella sua lunga tradizione. Le radici di questo sport affondano in epoche antiche. Già nel 200 a.C., in Cina, esisteva il gioco del tsu-chu, che consisteva nel colpire con il piede una sfera di pelle riempita e rinforzata. In Giappone, si praticava il kemari, un gioco che coinvolgeva due gruppi di otto persone ciascuno, con l’obiettivo di colpire una palla all’interno di una zona delimitata da alberi, come pini o ciliegi.

Anche in Grecia, intorno al 1000 a.C., esisteva una forma di gioco simile, l’“episkyros”, che vedeva i partecipanti divisi in due squadre. I romani lo trasformarono in una versione chiamata “harpastrum”. Non si trattava di un gioco semplice: la palla era piccola e ovoidale, e le regole erano decise in modo informale, senza arbitri, a causa delle difficoltà nel mantenere ordine in partite che spesso degeneravano in caos.

Dopo un periodo di sospensione durante il Medioevo, le attività ludiche tornarono a fiorire nel Rinascimento, in particolare a Firenze, dove il gioco del calcio divenne un passatempo molto popolare. Qui, Piero de’ Medici, noto mecenate, incoraggiò i migliori giocatori dell’epoca a praticare questo gioco, che divenne simbolo di divertimento per tutte le classi sociali: nobili, mercanti, banchieri e, infine, anche il popolo.

Nel 1612, il Vocabolario della Crusca definiva il calcio come “un gioco antico della città di Firenze, che rassomiglia alla sferomachia”, un gioco che, passando dai Greci ai Romani, era giunto fino a noi.

Il calcio moderno si affermò nel XIX secolo, grazie agli inglesi che codificarono le regole e stabilirono una struttura organizzativa che portò alla creazione dei primi campionati. Nel 1885, fu introdotto il concetto di calcio professionistico, segnando la nascita di una vera e propria industria dello sport.

Nel corso del tempo, il calcio ha continuato a evolversi, diventando un fenomeno globale che va oltre il semplice divertimento. Le grandi competizioni internazionali, come la Coppa del Mondo, sono eventi che attirano milioni di spettatori, e il calcio è oggi uno dei principali motori economici a livello mondiale.

Non è sempre stato un gioco pacifico. In alcune culture antiche, come quella degli Aztechi, il calcio era utilizzato come alternativa alla guerra. La partita, spesso disputata con gravissimi rischi per i giocatori, poteva risolversi in sacrifici umani, come testimoniano i bassorilievi trovati nel sito archeologico di El Tajín, in Messico.

L’11 giugno, allo Stadio Azteca di Città del Messico, si svolgerà la prima partita del prossimo Campionato Mondiale, e questa storicità rende ancora più affascinante il contrasto tra il gioco come strumento di divertimento e, in alcuni casi, come veicolo di violenza.

Anche nella mitologia Maya, il gioco con la palla aveva un significato sacro: due gemelli sconfiggevano i signori degli inferi in una partita di calcio e, come premio, diventavano il Sole e la Luna. Un messaggio che sottolinea come, in diverse culture, il calcio non sia mai stato solo un gioco, ma anche un simbolo di lotta, sacrificio e, talvolta, di rinascita.

Prof. ssa Mariolina Frisella

Sponsor

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *