Dignità senza barriere: perchè la disabilità non deve essere un ostacolo alla libertà

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Una persona su dieci nel mondo ha una disabilità che limita la Piena partecipazione ed uguaglianza alla vita e allo sviluppo della società.

Se pensiamo che il numero di disabili aumenterà con l’invecchiamento della popolazione a livello mondiale diventa urgente l’attuale riflessione. Nel 1981 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha voluto che il 3 dicembre fosse la giornata internazionale dedicata alla disabilità, un passo importante che ha segnato una sempre maggiore attenzione ai diritti del disabile.  

Rispettare i diritti del disabile non è facile. Sembra scontato ma non lo è, parlarne è semplice; realizzarli comporta intanto la consapevolezza di ciascuno, e l’interesse autentico per il prossimo, il volere il suo bene.

Si tratta di processi culturali e amministrativi. Culturali perché coinvolge il superamento dello stereotipo di disabilità come condizione escludente piuttosto che naturale. Quel che rende più complesso il punto è che è riferibile non soltanto a quanti la guardano come dirompente ma anche a chi la subisce come tale, in quell’escludere o escludersi che non è il pensarsi alla pari.

Lo ha voluto mostrare nei colori della bandiera della disabilità il ballerino Eros Recio che l’ha creata. La bandiera, meglio denominata “Bandiera del Superamento“, è stata acclamata il 3 dicembre 2017 dai parlamentari dei paesi dell’America Latina in un’assemblea plenaria in Perù e il 3 dicembre 2018 è stata adottata anche dall’organizzazione sportiva olimpica e paraolimpica,  Foment d’Esportistes amb Reptes. 

I suoi colori oro, argento e bronzo ispirati ai giochi paraolimpici,  sono simboli dei tre principali tipi di disabilità, fiscia, mentale e sensoriale, ma senza che un colore possa essere considerato prevalente sull’altro.

Chi ha assistito a quei giochi ne ha compreso pienamente la portata umana dell’orgoglio e della determinazione a fronte delle avversità sofferte, ma non per questo discriminanti.  È quella circostanza in cui si  prende coscienza di alcune diversità per superarle tutte, offrendo modelli e valori che indirizzano  a difendere un futuro migliore per tutti, con la stessa cittadinanza e dignità del vivere in libertà o di non soffrire inutilmente.

Dignità richiama rispetto, ma siamo capaci di comprendere la sofferenza personale e familiare, sociale e psicologica legata ai problemi del disabile?

Sappiamo bene che quella dignità è anche economica perché povertà e disabilità si condizionano a vicenda.  Chi vive con una disabilità rischia maggiormente la povertà e chi è povero rischia maggiormente di patire una disabilità.

Non a caso più dell’80% per cento delle persone con disabilità vive in aree in via di sviluppo sotto il limite della povertà.  Sono compromesse le prospettive di vita e la speranza del successo e della realizzazione del sé.

La domanda è quindi connessa non solo alla condizione soggettiva dell’individuo, a limitazioni e pregiudizi, ma in particolare alla capacità di valorizzare i differenti contributi che i disabili possono e sanno dare e alla re-sponsabilità collettiva, quel saper dare risposte istituzionali e civili, educative e lavorative nei contesti sociali e culturali in cui la disabilità è presente.

Dal punto di vista legale, secondo la Convenzione ONU del 2006, la disabilità è legata al rapporto fra persona e ambiente, quale “risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”. Viene riconosciuta quindi come una condizione legata all’esistenza di barriere fisiche, psicologiche, sociali,  che ostacolano i portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali. Il che equivale a sostenerne legittimamente la non discriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società, il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa, la parità di opportunità, l’accessibilità, la parità tra uomini e donne, il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità“.

Rimane da chiedersi quante persone disabili hanno realmente il diritto di godere di condizioni di vita socio-economiche come degli altri cittadini.

Per L’Oms la popolazione disabile è più di 1,3 miliardi, il 16% della popolazione mondiale. Sono anche “disuguaglianze sanitarie” in gran parte evitabili, dovute a fattori come discriminazioni sociali e politiche. L’80% delle persone disabili vivono in regioni in via di sviluppo e questo dato va riflettuto.

In Unione europea la percentuale delle persone disabili è valutata fra il 10 e il 15% per un totale di almeno 50 milioni di persone. In Italia la popolazione disabile è di circa 2,6 milioni di persone. Al G7 Inclusione e Disabilità 2024 svolto ad Assisi, in Umbria, dal 14 al 16 ottobre, tra i rappresentanti di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, considerate le potenze economiche mondiali, e delegazioni ospiti di Tunisia, Kenya, Sud Africa e Vietnam il dibattito sulla disabilità è stato globale e si è correlato all’interazione con i fattori ambientali, culturali, sociali e comportamentali.

Due gli obiettivi condivisi: accessibilità e vita indipendente, elementi che certamente non riguardano esclusivamente il soggetto disabile ma che coinvolgono l’intera società nei suoi aspetti molteplici, dalla normativa all’architettura, dalla cultura alla medicina. Lo sforzo maggiore consiste nel superare la disabilità come vincolo mentale, con la consapevolezza che molte delle barriere imposte dalle società sono create dall’uomo stesso, il quale diventa quindi artefice della libertà o della non libertà propria e degli altri.

Prof.ssa Mariolina Frisella

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