È scritto che si ha diritto alla salute, dovunque nel mondo, fondamentale per migliorare i livelli socio economici della vita del singolo da questo generare un universale sviluppo dei livelli socio economici di tutti. Eppure l’assistenza sanitaria di base non è garantita ordinariamente né dove si soffrono condizioni di violenza e povertà, di guerra. Non per nulla associazioni di diversa natura si sono sempre impegnate e si impegnano con propri volontari a sopperire all’inadeguatezza di assistenza medica e mancanza di medicinali, e tra queste gli Ordini di Malta già da secoli.
Per quanto lodevole sia, non basta. Non è con il sostegno dei volontari che si struttura il sistema sanitario nel mondo e in Italia, impegno prima di tutto costituzionale.
In questi giorni è stato pubblicato il rapporto “Health at a Glance: Europe 2024” dell’Ocse, non a caso l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, in collaborazione con la Commissione europea che getta“Uno sguardo alla sanità: Europa”. Il rapporto misura ogni due anni quanto manca o quali progressi si siano fatti in direzione di sistemi sanitari efficaci, accessibili e resilienti nell’ambito dell’UE.
Nell’ultimo rapporto sono evidenziati criticità e sfide, limiti e opportunità conseguenti alla digitalizzazione e ai numeri del personale sanitario. Grave, se già nel 2022-2023 ventisette Paesi dell’UE avevano denunciato una carenza di circa 1,2 milioni di medici, e quindici Paesi avevano segnalato una carenza di infermieri e ostetriche.
Per altro se le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale aiutano a memorizzare il profilo degli assistiti, d’altra parte, considerata la carenza di medici, questo finisce per sottrarre il tempo degli operatori sanitari all’assistenza anche psicologica dei loro pazienti.
I dati tratti dagli indicatori, liberamente accessibili, rilevano l’invecchiamento della forza lavoro medica, la mancanza di infermieri, investimenti al di sotto delle necessità programmate.
Per l’Italia la media dei finanziamenti è inferiore rispetto alla media europea. Oltre un terzo dei medici e un quarto degli infermieri dell’UE ha più di 55 anni, dunque prossimo al pensionamento. È indispensabile dunque pianificare le necessità di personale sanitario e la formazione professionale, a partire dalle urgenze ma non per risolvere soltanto le urgenze. Tamponarle non significa costruire il sistema in misura idonea.
Si è in ritardo da anni. Forse si deve alle difficoltà di impegno della politica se si registra nei giovani il calo di interesse per le carriere sanitarie e per l’infermieristica in oltre la metà dei Paesi dell’UE tra il 2018 e il 2022 tanto che, di recente, i Paesi europei si sono orientati al reclutamento di professionisti sanitari formati all’estero. Il rapporto registra che “nel 2022 l’afflusso di medici formati all’estero nei Paesi europei è aumentato del 17% rispetto al 2019, mentre l’afflusso di infermieri formati all’estero è aumentato del 72%. Nel 2023, oltre il 40% dei medici in Norvegia, Irlanda e Svizzera e oltre il 50% degli infermieri in Irlanda erano formati all’estero.
Occorreva investire nei tempi dovuti? Indubbiamente si e i dati ne sono la testimonianza considerando che ogni investimento su istruzione, formazione e qualificazione produce risultati solo nel medio-lungo termine. Invece abbiamo assistito alla chiusura di ospedali e strutture.
Oggi la cronaca registra le proteste di assistiti che non vengono assistiti e l’inadeguatezza delle condizioni del lavoro medico, insoddisfatti anche di garanzie e retribuzione specie se impegnati in prima fila nei Pronto Soccorso.
L’Italia negli anni scorsi ha destinato alla sanità pubblica una media del 6,2% del Pil, rispetto alla media europea del 6,8%. La spesa pro capite è di 2.947 euro, significativamente inferiore rispetto ai 3.533 euro medi europei e lontana dai 5.317 euro della Germania o dai 4.310 euro della Francia.
Non è un bene tant’è che manca l’attrattività nella scelta della professione e il paziente è solo.
È preoccupante che in Italia il 27% dei medici è in età pari o superiore ai 65 anni, la percentuale più alta in Europa e a questo si aggiunge la previsione dei pensionamenti al 2025; che il numero di infermieri è di 6,5 ogni 1.000 abitanti contro gli 8,4 della media Ue e a ciò si aggiunge l’emigrazione di infermieri italiani verso Paesi con salari più competitivi.
Invecchia il personale medico ma invecchiano anche i pazienti e se nel 2023, il 25% degli italiani aveva più di 65 anni, entro il 2050 si precede che la quota raggiungerà il 33%, il che equivale a prevedere un aumento importante della domanda di servizi sanitari. Specie se si considera che aumentano anche le fragilità economiche che ostacolano il provvedere a curarsi
Sanità pubblica o privata, il sistema deve misurarsi con le necessità prioritarie del diritto di tutti di curarsi ed essere curati.
Prof.ssa Mariolina Frisella