Trump e la nuova Geopolitica: Cosa cambierà per l’Europa?

Elena Grasso
Elena Grasso - EG Communication
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Il trionfo di Donald Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi arriva in un momento non certo facile per l’Unione Europea.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca giunge infatti nel bel mezzo di una crisi multiforme che sta scuotendo l’Europa. Gli ultimi due anni di conflitto alle frontiere, simbolicamente rappresentati dalla guerra in Ucraina, non sono bastati a costruire una difesa comune credibile tra i Paesi membri. Nonostante gli sforzi, con quasi duecento miliardi di euro impegnati nel sostegno a Kiev, il conflitto continua a minacciare la stabilità dell’Europa orientale, e l’incapacità di un’azione difensiva autonoma rende l’UE sempre più vulnerabile. In parallelo, la crescita economica dell’Unione è stagnante, con l’economia del continente che cresce a ritmo inferiore rispetto ad altre aree del mondo, come gli Stati Uniti o la Cina.

A peggiorare il quadro, l’Europa non sembra in grado di sviluppare una visione condivisa sull’industria e sull’innovazione. Le grandi aziende europee sono assenti nei settori tecnologici strategici, come l’intelligenza artificiale, la biotecnologia e le energie rinnovabili, dove Stati Uniti e Cina dominano il panorama. Anche la questione delle migrazioni, uno dei temi più divisivi, non ha visto l’emergere di un approccio comune tra i ventisette Stati membri, e il rischio di una frammentazione ulteriore sembra sempre più concreto.

Con Trump, il ritorno del protezionismo e delle politiche di “America First” pongono nuove sfide per l’Unione Europea. La promessa di Trump di imporre dazi tra il 10% e il 20% su alcuni prodotti europei, insieme alla sua riluttanza a garantire la sicurezza del continente, solleva interrogativi cruciali sul futuro delle relazioni transatlantiche. Senza il supporto diretto degli Stati Uniti, l’Europa rischia di trovarsi in una posizione di estrema vulnerabilità, incapace di difendersi da minacce esterne come quella russa o di proseguire nel suo cammino di crescita economica.

Nel contesto geopolitico attuale, l’Unione Europea non può fare a meno della protezione militare statunitense, ma, allo stesso tempo, l’economia europea continua a essere legata a quella americana. L’UE ha registrato un surplus commerciale di 157 miliardi di euro con gli Stati Uniti lo scorso anno, e un surplus di circa 40 miliardi di euro solo con l’Italia. Ciò significa che senza il sostegno degli Stati Uniti, l’Europa si indebolirebbe ulteriormente, che si trova quindi di fronte a un bivio. Come ha sottolineato Mario Draghi in un recente rapporto sulla competitività, l’Europa rischia di entrare in una fase di “lenta agonia”, a meno che non prenda provvedimenti drastici per rilanciarsi. La “rendita” storica che l’Europa ha goduto negli ultimi decenni sta ormai svanendo, e l’Unione deve affrontare la necessità di una vera e propria trasformazione se vuole continuare a giocare un ruolo da protagonista sulla scena mondiale.

Gli ultimi decenni hanno visto l’Unione Europea affrontare momenti di crisi e superare sfide epocali. Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Europa ha avuto la lungimiranza di creare l’euro, un passo che ha consolidato la sua unione economica. Durante la crisi finanziaria, l’UE ha rafforzato la propria governance economica, creando la Banca Centrale Europea e l’Unione Bancaria. E in risposta alla pandemia, ha lanciato il Recovery Fund, che ha permesso una ripresa economica senza precedenti.

Oggi, con il ritorno di Trump, l’Europa deve essere pronta a intraprendere un’altra grande trasformazione. La sfida principale sarà quella di affrontare una difesa comune credibile, integrare i propri sistemi industriali e puntare su nuove tecnologie e energie rinnovabili. Per fare ciò, sarà necessario finanziare progetti comuni che possano rafforzare l’integrazione fisica e tecnologica dei sistemi energetici e industriali europei. Inoltre, la creazione di un mercato europeo dei capitali privati potrebbe permettere di sostenere la crescita di grandi imprese continentali che possano competere ad armi pari con i giganti globali.

L’alternativa sarebbe quella di una competizione interna tra gli Stati membri, in cui ciascuno cercherà di guadagnare il favore di Trump e degli Stati Uniti, senza una visione comune. Questo approccio potrebbe portare a una disgregazione ulteriore dell’Unione, con un rafforzamento delle differenze tra i Paesi, riducendo ulteriormente la capacità dell’Europa di essere un attore globale coeso. Ma se questo fosse un vantaggio invece che uni svantaggio?

Non sappiamo esattamente di quanta forza interna propria goda ciascuno Stato europeo, ma si è visto chiaramente che l’Europa globale non funziona perché rappresenta una forza comune che coinvolge attivamente ogni governo. Ci sono parti d’Europa completamente dissociate dal contesto globale, e parti che invece hanno un ruolo attivo. Una tale Europa è zoppa e indipendentemente da Trump farebbe fatica a continuare la propria corsa senza il sostegno degli Stati Uniti. Non è un Paese nato libero l’Europa. E semmai volesse reinventarsi la strada sarebbe tutta in salita.

Con Trump al Governo degli Stati Uniti, la costruzione di una visione forte e unitaria è possibile, ma a patto che rispetti il gioco delle parti. Sta adesso all’Europa se decidere per la rinascita al prezzo di una disgregazione, e direi anche di un’identità, oppure continuare a sopravvivere traendo linfa dal colosso oltreoceano.

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