Il web è invaso da post che ci inducono a prendere posizioni sui grandi temi delle diversità.
Quando non trattano compiutamente la materia interpretandone solo una parte del tutto, spesso generano pregiudizi, stereotipi e preconcetti.
Coincidenza in omaggio al requisito di brevità?
Alle coincidenze credo poco, di più alla considerazione che chi scrive intende manifestare una idea, personale convinzione o di parte politico-ideologica.
E non è detto che sia quella più rispondente alla realtà. Il fatto è che l’impatto emotivo di quegli slogan è immediato, più faticoso ricostruire i fatti o la dimensione culturale del tema trattato, e accade che ci lasciamo coinvolgere dalle emozioni stuzzicate perché i punti nevralgici “parlano alla pancia”, come si dice.
Eppure distraggono il pensiero oggettivo, influenzano il nostro modo di pensare, sentire e comportarci verso gli altri sebbene tutti sappiano che il web è una grande piazza dove si amplificano i singulti comunicativi e ci si imbatte in fake news da un post all’altro.
Bene stare attenti a non lasciarsi trasportare da un post?
Non rappresenta una verità quanto piuttosto elementi emotivi e sono questi che ci portano altrove. Possiamo considerarli stimoli alla riflessione ma non dobbiamo accettare l’opinione di altri pur di ottenere il consenso sociale. La stima la si ottiene quando si dimostra rispetto per gli altri senza mai rinunciare a ragionare con la propria mente.
È così che si fa chiarezza su discriminazioni ancora presenti nelle società, quali il sessismo, l’ageismo, l’antisemitismo, il razzismo, l’omofobia, la transofobia, la grassofobia e l’abilismo, per ricordarne qualcuna. Senza facili confusioni.
Eppure viviamo anche di pregiudizi. Ci distraggono dal ragionare?
Quando la comunicazione è parziale e distrae dai significati oggettivi i facili condizionamenti sono inevitabili. Possiamo solo ancorarci alla conoscenza dei fatti e alla cultura per non correrne il rischio e chiederci quanto i nostri giudizi su diversità e discriminazione sono oggettivi e quanto dipendono da pre-giudizio o stereotipo e pre-concetto.
Se la diversità è quell’insieme di “altro”, con proprie caratteristiche che rispettiamo consapevolmente se ne conosciamo le origini, il discrimine avviene quando non conosciamo questo “altro”, non lo capiamo, ce ne sentiamo minacciati e lo rifiutiamo.
Noi discriminiamo?
Partiamo dalla considerazione che siamo persone diverse, per età, cultura, formazione, reddito, sesso e orientamento sessuale, peso, religione, disabilità, razza o etnia. Che ci siano differenze tra noi non vi è dubbio, sarebbe grave il contrario, e valutarle non è discriminante. Non devo sentirmi ingiusto se constato che un altro è diverso, non possiamo essere tutti uguali e né lo saremo mai. Accade che discriminiamo quando a causa di tali differenze ci comportiamo in modo ingiusto.
Che vuol dire modo ingiusto?
L’Organizzazione delle Nazioni Unite risponde che “i comportamenti discriminatori assumono molte forme, ma tutte implicano una qualche forma di esclusione o rifiuto“.
Dunque ingiusto significa che escludiamo qualcuno?
Non basta a definirci discriminanti se non quando finiamo per rifiutare chi ci sta davanti senza averne chiara una ragione legittima, quando cioè non abbiamo motivazioni valide se non un pre-giudizio che esula dal rispetto di quei diritti e doveri di cui godiamo tutti.
È allora che diventiamo ingiusti e siamo ingiustificabili.
Poi una riflessione: ragioniamo sempre come se fossimo noi una, forse l’unica, parte giudicante. Forse non pensiamo che rappresentiamo anche noi un diverso per l’altro, una parte da giudicare.
Siamo anche noi discriminati?
Prof.ssa Mariolina Frisella