La vecchiaia, ineliminabile stato della vita di tutti. Ma che significa essere vecchi, anziani o della terza età?
Da più parti ci avvertono del fatto che la popolazione invecchia: si registra un minor numero di nascite e si allunga la durata del vivere, non solo in Italia.
Siamo più vecchi che giovani, dunque, il che genera criticità di ordine sociale ed economico, tra l’altro appesantite da una attenzione costante che focalizza le politiche giovanili trascurando quelle che si devono a chi giovane non è più ma rimane indiscutibilmente una risorsa insostituibile.
Quali implicazioni contiene la concezione dell’età?
Culturalmente pensiamo alla vita nelle sue tappe fondamentali definite infanzia, età adulta, età anziana e ulteriori fasi in cui percepiamo come inevitabile il passato in declino ed una prospettiva di riposo.
E non ci è chiaro se dobbiamo parlare di anzianità, vecchiaia o terza età se non altro per capire in quale stereotipo si viene collocati dalle pratiche istituzionali e il pregiudizio sociale.
Sotto il profilo psicologico, e non è di poco conto, l’Accademia della Crusca definiva il concetto di ageismo, introdotto per la prima volta nel 1969 da Robert Butler, direttore del National Institute of Aging quale “discriminazione, pregiudizio o marginalizzazione di una persona in relazione all’età; in particolare discriminazione nei confronti degli anziani”.
La riflessione riporta al quotidiano per rintracciare la funzione sociale che oggi si riconosce in relazione alle età. Anziani o vecchi? Quando la terza età?
Non è una domanda scontata. Difficile definire oggi i confini temporali della vita, quelli che ne ritmano i tempi, perché il concetto dell’età va oltre la semplice cronologia comprendendo dimensioni biologiche e psicologiche che narrano comportamenti e sentimenti. Si rischia di confonderne realtà e percezione e di trascurarne l’essenza.
I primi due termini non sono sinonimi.
“Anziano”, dal latino medioevale antianus, deriva da ante che significava prima o di epoca anteriore, e si riferisce a persona di età avanzata in assoluto o nel confronto con altri.
L’Istat e il Ministero della Salute con tale termine indicano le persone oltre i 65 anni di età mentre ad esempio le Nazioni Unite, quando definiscono gli anziani, si riferiscono a persone di sessant’anni. Uno stato mentale oltre che fisico?
Oggi gli anziani si percepiscono come i pensionati, chi quindi è fuori dal ciclo produttivo, ai margini della tecnologia. Si fa fatica a riconoscerli per quelli che erano, una componente essenziale e portante dell’intera società. Una volta costituivano la “gerousía”, il consiglio, istituzione di saggi che poteva dare consigli ai sovrani e, assistendoli, deliberava con loro le leggi. Dunque una presenza densa dei significati e delle lezioni dell’esperienza in direzione delle vision del futuro?
“Vecchio” deriva dal latino vetus o vetulus e può riferirsi a persone come ad animali o a cose indicando che sono molto avanti negli anni. Robbi vecchi, ricordiamo che lo usavamo qualche anno fa, era quello che vendeva cose usate per cui vecchio riferito a persone è un termine poco garbato specie se lo rapportiamo a quella senectus dell’antica Roma posta in alta considerazione, o a quel pater familias al quale veniva attribuita innegabile autorità e autorevolezza, oggi spenta.
E anche se ci viene in aiuto il greco ghéron, vecchio, da cui i lemmi geriatra e geriatria usati in medicina piuttosto che “vecchio”, anche qui lo percepiamo quale condizione di chi ha ormai bisogno di cura e assistenza.
La vecchiaia, registrata a circa 73 anni per gli uomini e 75 per le donne, si porta addosso l’idea che è la fase degli ultimi anni di vita, dunque contrapposta a gioventù, Più un peso che una risorsa?
Lo scrittore contemporaneo Marc Levy restituisce una speranza di rivalutazione quando scrive: “Le rughe della vecchiaia formano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro sogni.” Ma quale status ha in società l’anziano?
E la terza età? Inizia dopo la mezza età, in una fase precedente all’ effettiva età avanzata, e ha il sapore del non essere più giovani.
La scienza fa iniziare la terza età quando una persona ha una speranza di vita di circa 10 anni. Secondo alcuni studi la terza età inizia ai 65 anni di età e finisce intorno ai 74 anni di età ma oggi non se ne può regolare scientificamente l’inizio, ancor meno la fine.
La vita cambia, è vero, si è più liberi da impegni lavorativi e spinti a un nuovo modo di vivere che coltiva interessi per la musica, per i viaggi, e anche per lo studio e il gioco. Ma anche se la rinnovata energia del corpo coltivata in sport e ginnastica suggerisce di non arrendersi alla vecchiaia, si presentano sintomi di abbassamento di vista e udito e problemi della memoria con le conseguenti criticità di natura psicologica specie in quanti nutrono la sensazione di non essere più utili per la loro famiglia e per la comunità, per quegli squilibri intergenerazionali per i quali subentra un sottile senso di solitudine.
Eppure i cosiddetti ‘anziani’ oggi sono vitali e più che mai utili e hanno il dovere di riappropriarsi pienamente della loro autorevolezza sociale.
Maria Frisella