Siamo nell’epoca della tecnologia, dei cyber e dei robot che facilitano l’esistenza, eppure ancora oggi la maggiorparte della popolazione mondiale non si sente di vivere una vita piena e soddisfacente. Le malattie non sono state sconfitte e i progressi scientifici non sembrano ancora promettere miracoli. A onor del vero la medicina attuale è riuscita a guarire molte patologie che fino a qualche anno fa erano invalidanti, pensiamo al diabete e all’ipertensione arteriosa, e sicuramente riesce più di prima ad agire sulla prevenzione.
Ma perché negli ultimi anni l’età media della popolazione è diminuita rispetto al passato, perchè si vive male? Se di progresso parliamo, non dovremmo assistere ad un’evoluzione in termini di qualità della vita e quindi di allungamento di essa?
La risposta qui non può essere univoca, la responsabilità non è da addossare ad un unico fattore, ma una domanda è d’obbligo. In tutto questo, la scienza ha una responsabilità? Se c’è qualcosa che può fare, cosa dovrebbe fare?
Oggi si assiste ad un aumento delle persone che si rivolgono alla medicina omeopatica, una maniera alternativa di curarsi che tuttavia non ha riconosciuto l’approvazione ufficiale da parte della Sanità pubblica. Ma cos’è l’omeopatia e cosa la differenzia dalla medicina allopatica?
Secondo la definizione più sintetica e in genere più accettata, l’omeopatia è un metodo medico-scientifico che consiste nel curare le malattie con dosi minime di sostanze che, somministrate in quantità maggiore in una persona sana, produrrebbero su di lei gli stessi fenomeni o sintomi che si tenta di combattere, “similia similibus curantur”, cioè si procede alla cura per analogia. L’omeopatia non è una scienza moderna, anzi, la sua applicazione risale ad epoche molto remote, per essere poi riscoperta nel XVIII sec, grazie al medico tedesco Samuel Friedrich Christian Hahnemann.
Diversamente dalla medicina ufficiale che agisce ‘combattendo’ la malattia con farmaci opposti, l’omeopatia lavora sull’organismo non per mezzo della lotta, ma attraverso la restituzione del suo primario equilibrio, tale che il corpo riacquisti la sua capacità di guarire dalla malattia in maniera del tutto naturale.
Secondo i principi dell’omeopatia il corpo umano è naturalmente programmato per guarire, e come tale deve essere in grado di poterlo fare. Si tratta quindi di aumentare le risorse organiche attraverso la somministrazione di una sostanza che, fino a un certo coefficiente di somministrazione, oltre a restituire all’individuo il suo equilibrio fisiologico, lo immunizza contro la malattia che lo ha aggredito.
La differenza con la medicina allopatica è sostanziale: l’omeopatia richiede tempi lunghi di trattamento dove il medico, ha bisogno, di conoscere la storia del paziente trattato e l’evoluzione delle tappe che hanno portato il paziente a sviluppare la malattia. Tuttavia, in una società inquieta come quella in cui viviamo, è difficile saper aspettare senza assistere agli effetti immediati delle cure, ma soprattutto è difficile credere che l’omeopatia possa davvero funzionare. La maggior parte della gente crede che l’omeopatia non funzioni, ‘effetto placebo’ dicono; che dosi minime iniettate nell’organismo non possano incidere sullo stato di salute. Moltissime evidenze e storie personali invece dicono il contrario, le stesse piante su cui è stato effettuato un trattamento omeopatico si riprendono a nuova vita, e anche gli animali che non esercitano la ragione, se trattati hanno dato esiti positivi.
E allora dove sta l’inganno? Se anche fosse effetto placebo, non si tratterebbe sempre di una reazione innescata dal sistema nervoso sull’organismo, così come vogliono le neuroscienze? Se c’è un collegamento tra mente e corpo, non è forse vero che agendo sull’uno si interviene anche sull’altro?
E poi c’è il discorso di come possano dosi così minime avere effetti visibili, ma dovremmo addentrarci sul discorso di “chi siamo” e di come viviamo e andremmo su un terreno ancora incolto che qui abbiamo il dovere di tralasciare.
Oggi si tratta di operare un cambiamento, non nel verso di una conversione totale alla medicina omeopatica, ma nella direzione di una giusta integrazione tra questa e la medicina che tutti conosciamo. La sfida che ci si pone è guardare all’individuo come un Tutto Integrato, per il quale i due approcci non possono e non devono escludersi a vicenda.
Elena Grasso