La possibilità di utilizzare risorse idriche profonde per mitigare la crescente carenza d’acqua è un argomento che l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha inserito divulgando la notizia di una enorme riserva di acqua nel cuore profondo della Sicilia, grazie a pregressi studi avviati circa 6 milioni di anni fa. Si tratterebbe di un esteso corpo idrico sotterraneo di acque dolci e salmastre conservato in un acquifero profondo tra i 700 e i 2500 metri di profondità al di sotto dei Monti Iblei, nella Sicilia meridionale.
Il volume d’acqua immagazzinato – asseriscono gli studiosi l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – è pari a circa 17,3 chilometri cubi, ossia 17 miliardi di metri cubi che dalla preistoria potrebbero salvare la Sicilia del presente e del futuro: acque, dunque, a vario grado di salinità, non direttamente utilizzabili per il consumo umano: infatti al crescere della profondità aumenterebbe il grado di salinità dell’acqua. E’ da dire che gli esiti della ricerca sono della fine del 2023, ma si impongono in questa fase di acuta emergenza idrica, nella quale la siccità prosciuga laghi e devasta habitat, e come ultimo recente esempio è il lago di Pergusa in Sicilia ormai quasi arido. Come si può constatare che un gruppo di ricercatori dell’Università di Malta, dell’Ingv e dell’Università Roma Tre ha pubblicato uno studio scientifico di grande rilevanza sulla prestigiosa rivista Communications Earth & Environment di Nature Portfolio (Fabrizio Villa / Dpa / Dpa Picture-Alliance Via Afp – Siccità in Sicilia). Il titolo dell’articolo è: “Extensive freshened groundwater resources emplaced during the Messinian sea-level drawdown in southern Sicily, Italy“, ed è basato su attenti studi cui rivelano la presenza delle risorse idriche sotterranee senza precedenti nella Formazione di Gela, una piattaforma carbonatica Triassica nel sottosuolo della Sicilia meridionale. Una cuccagna dal sottosuolo, considerato che appena poche settimane fa, secondo quanto pubblicato dall’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia, dei 288,95 milioni di metri cubi allora trattenuti dalle 29 dighe dell’Isola, l’acqua realmente disponibile nei bacini era poco più della metà. “Eppure, le risorse idriche sotterranee profonde in tutto il mondo rappresentano un’importante fonte potenziale di acqua non convenzionale, che possono supportare le crescenti necessità legate anche alla crescita demografica globale”. Ad affermare quanto appena riportato è Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’Ingv Università di Malta, professore dell’Università Roma Tre e primo autore dello studio, insieme a Damiano Chiacchieri, assegnista Ingv e dottorando dell’Università Roma Tre, Roberto Bencini collaboratore dell’Università di Bologna e Aaron Micallef, professore dell’Università di Malta.
La scoperta di questo vasto accumulo d’acqua è il risultato di un approccio innovativo che combina l’analisi di pozzi petroliferi profondi con avanzate tecniche di modellazione tridimensionale del sottosuolo. Gli scienziati, asseriscono di avere attribuito la distribuzione di questo accumulo di acque fossili a un meccanismo di ricarica meteorica guidato dall’abbassamento del livello del mare nel “Messiniano”, ed è stato ricostruito che questo abbassamento del livello del mare, sia avvenuto circa 6 milioni di anni fa, ed abbia raggiunto i 2.400 metri sotto l’attuale livello del mare nel bacino del Mediterraneo orientale, creando le condizioni favorevoli all’infiltrazione di acque meteoriche e all’accumulo e conservazione di questa preziosa risorsa idrica nel sottosuolo.
I dotti dell’Ingv sono certi che queste acque addolcite potrebbero avere utilizzi diversificati, dalla potabilità all’utilizzo per scopi industriali e agricoli, aprendo così nuove prospettive per la Sicilia meridionale e altre regioni costiere del Mediterraneo. Come hanno ribadito gli esperti al Tgr Sicilia, altri giacimenti d’acqua potrebbero essere trovati sia nelle profondità dell’Etna, sia nella parte nord-occidentale dell’Isola deducendo così che questo approccio innovativo potrebbe, infatti, essere esteso ad altre aree dell’Italia e del Mediterraneo caratterizzate dalla carenza idrica e da condizioni geologiche analoghe. Gli studi analoghi a quanto sopra riportato, e ai risultati raggiunti – asserisce Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’Ingv, Università di Malta, professore dell’Università Roma Tre – si potrà ora cercare di individuare possibili nuovi accumuli anche in aree quali Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Turchia, Malta e Cipro. In conclusione sono state utilizzate le competenze del team, sviluppate in particolare nel settore della ricerca petrolifera, per ricercare, questa volta, potenziali preziose risorse idriche profonde di supporto a uno sviluppo sostenibile, che permetta anche di affrontare le sfide della sicurezza idrica. Il progetto è stato inserito tra le “action” in occasione della “Water Conference“ dell’Onu del marzo 2023 e, nel prossimo futuro, il team prevede di valutare un piano di sviluppo e un progetto di utilizzo di queste acque.
Massimo Scuderi