Ma l’Autonomia differenziata è proprio fuori luogo?

8 minuti di lettura

Alla luce della legge sull’Autonomia differenziata  che mercoledì 19 giugno, dopo l’assenso al Senato del 23 gennaio, la Camera ha approvato in via definitiva, ne misuriamo  tempi e senso nel suo luogo costituzionale.

Già nel  decreto 616 del 1977 si prevedeva  trasferimento e deleghe di funzioni amministrative dello Stato a Regioni, Province e Comuni montani ed ancora con la legge di delegazione del 1997 e con il decreto attuativo nel 1998,  sotto la presidenza  Prodi, era stato legiferato il decentramento amministrativo di funzioni statali alle Regioni e  agli Enti locali.

L’articolo 116, riconosciuti statuti speciali al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, alla Sicilia, al Trentino-Alto Adige/Südtirol con le Province autonome di Trento e di Bolzano e alla Valle d’Aosta, stabilisce che “possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119 ” aprendo a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)”.

Nel 2001, dall’allora Governo Amato fu approvata la Legge costituzionale n.3 che riformava il Titolo V della Costituzione. Fu voluta dal Ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini,  convinto che con le deleghe agli amministratori locali regionali e l’assunzione della loro responsabilità politica e amministrativa  si potesse dare risposta ai specifici bisogni delle popolazioni residenti. Accadeva 23 anni fa.

Fu un errore la riforma del Titolo V?

Fosse stato un errore si sarebbe potuto tornare indietro nei 23 anni successivi al 2001.  Non averlo fatto vuol dire confermarne il necessario già tardivo completamento legislativo che oggi assume i contorni della operatività attuativa più che della novità.

Premessa indispensabile alle attualità dell’Autonomia differenziata?

La Riforma ne ha aperto certamente l’attuabilità legislativa, prendendo atto delle diversità esistenti nelle singole regioni italiane, dove non c’era e non c’è una unica realtà sociale, agricola e industriale, marittima e commerciale, urbanistica, artigianale, turistica, culturale. Si intendeva valorizzarne le tipicità ma soprattutto superare i limiti delle criticità  attraverso una governance più responsabile. Fatto è che quelle differenze nell’erogazione di servizi e nella garanzia di sviluppo e crescita sono ancora un forte, spesso drammatico,  ostacolo al farsi delle economie su tutto il territorio nazionale. I livelli diversi condizionano.

Una legge che spaventa?

Sapersi innovare comporta rispetto di tempi e azione. L’innovazione legislativa del 2001 deve trovare applicazione. Pure se  ogni nuovo provvedimento attuativo spinge a dubbi nel contrasto tra governo e opposizioni, demonizzare potrebbe sembrare la  dimensione di un pensiero ancora conservatore. Legittimo il timore del cambiamento, ma esisterebbe una risposta univoca che non è stata mai trovata in 23 anni?  

Sedunque le autonomie locali sono costituzionalmente riconosciute quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica,  (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento (cfr. art. 114 e segg.) e da qui le deleghe elencate in quell’ articolo 117 nella Riforma del Titolo V della Costituzione,  se ad oggi le differenze economico-culturali tra le Regioni rappresentano ancora una offesa alla parità dei diritti della cittadinanza, ed una generica confusione dei doveri del cittadino come dell’amministratore, allora dopo 23 anni va data risposta.     

Quali concessioni all’ autonomia?

Da alcune opposizioni al provvedimento si paventano disastri e impoverimenti. Eppure sono le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata e dovranno attenersi a procedure previste in 11 articoli per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Per altro, tra le materie ad esse trasferibili, 14 sono condizionate dalla prioritaria definizione dei LEP.

Non sono concessioni facili, né deleghe prive di condivisioni e i poteri trasferibili  possono muoversi solo nel rispetto della competenza legislativa esclusiva dello Stato pur nei livelli di competenza, quello esclusivo per cui le Regioni vengono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare, quello concorrente per cui le stesse rimangono vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie dalle leggi dello Stato, quello attuativo delle leggi dello Stato adattandole alle esigenze locali per una maggiore efficacia.

E, su tutto, il punto cruciale della definizione dei LEP, sui quali si misurerà la competenza della governance, la sua efficienza, la sua efficacia, l’organizzazione e la capacità di spesa degli amministratori. Se l’accesso ad autonomie è subordinato alla loro determinazione nel rispetto dei diritti civili e sociali di tutti, la Costituzione affida alla competenza esclusiva dello Stato il compito di definirli.

Cosa sono i Lep?

L’acronimo indica i Livelli Essenziali delle Prestazioni che per garantire i servizi devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale.  

Le Regioni hanno la funzione di definire su territorio locale i bisogni specifici, differenti in direzione dell’allineamento delle condizioni locali a quelle programmate su tutto il territorio nazionale, che significa misurarne le attuali distanze e puntare ad obiettivi di crescita e sviluppo per quell’equilibrio e per la parità di cui lo Stato è e resta responsabile di fronte a tutti i cittadini.

Si accorcia la distanza dello Stato dal cittadino attraverso le articolazioni regionali?

L’allarme così come viene narrato nelle cronache,  pur nel porre dubbi operativi, non può determinare ancora altri anni di fermo ma deve puntare sulla necessità di pre-tendere solide competenze amministrativo-gestionali.

Occorre credere che ci siano le competenze programmatiche, o formarle, per saper pre-vedere crescita e sviluppo specifico dei territori quali requisiti fondanti la vision politico-imprenditoriale nazionale.

In ogni caso dovrà essere più trasparente ed immediato il rapporto con il cittadino recuperandone attenzione e fiducia contro l’attuale  astensionismo, preoccupante per i valori della democrazia.

La palla passa a chi governa e gestisce, la dimensione della preparazione e delle capacità nella razionalizzazione della spesa pubblica in funzione di risultati  ne è indubbiamente la sfida. 

Il cittadino potrà valutare l’efficacia delle risposte non più a lunghissima scadenza perché la sua vita non è eterna.  

Prof.ssa Mriolina Frisella

Sponsor

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *