L’acqua in Sicilia, stress idrico o politico?

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Il 24 giugno di 100 anni fa nasceva Danilo Dolci e ancora nell’anno 2024 arriva l’ennesima dichiarazione dello “Stato di crisi e di emergenza per l’acqua potabile” che, si anticipa, durerà almeno fino al 31 dicembre”. E dopo?

Mettere insieme i due momenti della storia non è occasionale. Danilo Dolci scriveva “………siamo tutti figli dell’acqua…… fonte di vita; a Partinico, a Montelepre ho imparato dai contadini una grande lezione di civiltà e di libertà, proprio partendo dai conflitti sull’acqua”.

Ancora lo sviluppo dell’isola ai margini dell’efficienza?

A distanza di anni ne rimane centrale il tema se non altro per misurare i limiti di un uguale accesso all’acqua in Sicilia come per tutto il territorio nazionale.   Se è vero che il valore acqua è universale, nella nostra terra, la Sicilia, la sua gestione mostra i segni del tempo climatico ambientale e amministrativo.

Potrebbe sembrare riduttivo confinare il tema alla sua semplice emergenza climatica. Il clima può influire sulla emergenza ma soffriamo la siccità tra pozzi, dighe, acquedotti e dissalatori.

Nella nostra memoria è la Conca d’Oro, quella pianura costiera tra Monte Pellegrino e il mar Tirreno ricca di coltivazioni, ci sono i due fiumi palermitani un tempo navigabili, il Kemonia, “fiume del Maltempo” perché straripava con le piogge, e il Papireto, “fiume d’Occidente” con la folta vegetazione di papiri alimentata da ricche sorgenti montane.

Non mancava l’acqua nei rigogliosi giardini e  bagni  arabi, nei qanat e nelle 100 fontane  con sorgenti così abbondanti che gli arabi chiamavano ‘wid’, fiume. L’acqua era vita per le coltivazioni, con gli apporti dei fiumi Eleuterio e Jato, i pozzi disseminati tra i bagli, i catusi e le saje  con acqua corrente, a pressione o a caduta, e per quel giardino della “Cuncuma”, nella Chiesa di San Giovanni alla Guilla dove si legge ancora il distico del poeta monrealese Antonio Veneziano: “Origino da Nilo e nome dal Papiro; ed io, ch’ero onda del mare, ora sono corso d’acqua terrestre”. E si spiega perfino perché si credette che dal Nilo fosse arrivato via acqua a Palermo il coccodrillo impagliato ed esposto dal 1612 sulla volta d’ingresso del giardino!

Poi nel novecento  l’acqua si è ridotta  all’emergenza.

Ritorna la memoria delle battaglie di Danilo Dolci per salvarla, per avere sostenuto il pensiero partecipato tra  potere e democrazia green, servizi basilari e sviluppo economico, consapevolezza della comunità territoriale del bisogno di acqua in anni dell’immediato dopoguerra che segnavano la povertà della Sicilia occidentale. È  lo stesso bisogno di acqua che non ha perso la sua valenza, quando oggi sembra che la motivazione dello stress idrico ne giustifichi l’assenza nelle nostre terre.

Assume un peso la testimonianza legata alla diga dello Jato voluta da Dolci,e alla sua narrazione:  “Un vecchio contadino, Zu Natale Russo, un giorno disse: “Qui d’estate per sei mesi non piove. E si produce poco, o niente. Ma d’inverno piove molto. E l’acqua per gran parte va sprecata. Non si potrebbe raccogliere quell’acqua in un bacile, in un grande bacile, per poi utilizzarla nell’estate?”. Aveva reinventata la diga. (Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, 1993, p.224).  Allora ci vollero proteste e digiuni per ottenere i fondi della Cassa del Mezzogiorno e finanziare la costruzione della diga, perché quell’acqua  era acqua democratica,  abbondante e per tutti.

“…..l’acqua può divenire non soltanto occasione per elevare la produttività e il reddito, ma anche leva di cambiamento strutturale, per un cambiamento della struttura del potere”, scriveva Danilo Dolci.  “Dall’acqua, continua plasmatrice del pianeta, noi possiamo – abbiamo il potere di – vivere: l’acqua coopera ad avvivarci”.

E se è così, mezzo ineliminabile per una comunità che vuole vivere e svilupparsi, come si è arrivati a stressare l’acqua riducendola e perdendone le sorgenti? 

“Pur l’acqua può morire”!

Prof.ssa Mariolina Frisella

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