Guerre civili? dispute territoriali? terrorismo e ostilità latenti? Nel mondo sono decine i conflitti attualmente in corso. Già, ci si chiede quante e quali guerre si combattono oggi nel mondo. Eppure è lontano il ricordo della fine della Seconda guerra mondiale, per molti, ha avviato un lungo periodo di pace. Il fragore delle bombe, il rombo dei caccia e il crepitio delle mitragliatrici sono stati un brutto, lontano ricordo. Nel Vecchio continente, infatti, nella seconda metà del Novecento i conflitti si sono limitati alla guerra fredda, come ad esempio quella dei Balcani degli anni Novanta. Purtroppo, le guerre, infatti, non hanno mai cessato di diminuire dal 1946 ad oggi 2024, dove sciaguratamente siamo spettatori di una recrudescenza dei conflitti e delle violenze,e dove troppi bambini innocenti sono rimasti uccisi – e sciaguratamente ce ne saranno ancora – dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia del 24 febbraio 2022.
Una guerra che non risparmia nessuno. La maggior parte dei conflitti attuali non oppone stati, come accaduto invece nella prima metà del Novecento, secondo le Nazioni Unite, protagonisti, oggi, sono soprattutto milizie politiche, bande criminali o gruppi terroristi internazionali, le tensioni regionali irrisolte, il crollo dello stato di diritto, l’assenza delle istituzioni, le attività lucrative illecite ne rappresentano le principali cause. La politica, la società e le tecnologie cambiano, assieme ai principali attori delle guerre, ciò anche in ragione dell’evoluzione tecnologica, che forse favorisce l’utilizzo di armamenti robotizzati, come nel caso dei droni, o i cyberattacchi”. Tutto ciò ha provocato una frammentazione delle guerre, con la proliferazione di gruppi armati locali in numerose regioni: dalla Libia alla stessa Siria, passando per il Sahel.
Così, i metodi di risoluzione tradizionali delle controverse diventano difficili da applicare, soprattutto quando i conflitti assumono dimensioni ampie. Intrecciando tra loro problemi politici, socioeconomici e militari che travalicano spesso le frontiere geografiche ed il caso dello Yemen rappresenta la più drammatica illustrazione di tale dinamica. Proseguendo avanti nel tempo, arriviamo nel 2009, con la guerra in Afghanistan, dove l’intervento degli Stati Uniti è durato decenni, fino al non atteso abbandono del territorio da parte dell’esercito americano, lascando così il conseguente ritorno al potere degli estremisti islamici talebani. Ed ancora, nell’anno 2011, e più precisamente nell’aprile 2011 le forze ribelli attaccano le truppe di Gheddafi in Libia.

Da allora la nazione nordafricana fronteggia a tutt’oggi una guerra tra bande e gruppi organizzati, con il governo che fatica a riuscire a controllare l’intero territorio. E siamo ai giorni d’oggi: nonostante, le guerre “tradizionali”, abbiamo l’esempio, di due o più nazioni che schierano i propri eserciti regolari l’uno contro l’altro. Esattamente come adesso accade tra Russia e Ucraina. La stessa invasione delle truppe di Vladimir Putin, tuttavia, rappresenterebbe una disputa territoriale. Mosca sembrerebbe rivendicare di fatto la provincia del Donbass, dopo aver puntato già all’annessione della Crimea.
Codeste controversie territoriali sorgono infatti nei casi in cui alcune porzioni di territorio sono contese da nazioni o da gruppi etnici o politici. Si tratta di conflitti che, a volte, possono provocare semplici violenze, ma che in altri casi possono sconfinare in guerre aperte. Difatti, è quanto accaduto nel corso del 2021 tra Armenia e Azerbaigian per la regione del Nagorno Karabakh. Siamo ormai avvezzi ad assistere molteplici casi di conflitti mondiali legati al controllo del territorio: i curdi considerano propria una regione quale il Kurdistan che, abbraccia parti di Siria, Iraq, Iran e Turchia.
Ma il caso storico più eclatante è senz’altro quello dei territori contesi tra Cisgiordania, Israele e Palestina. E vien da chiedersi come si possa costruire un futuro di pace, dove ci si aggiungono anche i cambiamenti climatici che rischiano di provocare nuovi squilibri, ad esempio per la ricerca di risorse di base. L’acqua potrebbe diventare con ogni probabilità un elemento di conflitto tra popolazioni, e le migrazioni di massa provocate da eventi meteorologici estremi o dalla risalita del livello dei mari, con le conseguenti inondazioni di vaste aree costiere, rischiano di esacerbare situazioni già tese. Le crisi, in un mondo globalizzato, sono interconnesse e richiedono strumenti nuovi, fondati principalmente sulla prevenzione, sul dialogo, sulla diminuzione delle disuguaglianze, su politiche di apertura, accoglienza e comprensione. La garanzia di un futuro di pace dipende dalle scelte che operiamo oggi.
Massimo Scuderi