Come ti offendo se non sei della mia razza…

Massimo Scuderi
9 minuti di lettura

Un caso di razzismo?

Eppure, nella giornata di campionato che la Serie A ha già dedicato alla lotta al  razzismo accade un po’ di tutto. Il Napoli, attraverso un video pubblicato sui social, dice no al razzismo in ogni sua forma. Nel filmato si vedono infatti i calciatori di mister Calzona recitare un messaggio nella loro lingua madre. In altre parole, tra un «Troppo hanno visto i nostri occhi», «troppo hanno ascoltato le nostre orecchie», ed ancora «Le nostre bocche hanno detto troppo poco, il tempo per l’indifferenza è finito» e «Facciamoci ascoltare, senza paura, senza vergogna. Gridiamolo forte. No al razzismo»

L’appello del club partenopeo si fa sentire giusto appunto dopo la deflagrazione del caso-Acerbi, il difensore dell’Inter, che durante la partita con il Napoli, si sarebbe rivolto al calciatore Juan Jesus chiamandolo «negro». A rendere pubblica la storia, lo stesso difensore del Napoli che ha spiegato come non abbia potuto sorvolare sulla condotta di Acerbi, salvo poi accettarne le scuse. E così, per Acerbi arrivano le prime conseguenze che, convocato immediatamente dopo ct dell’Italia Luciano Spalletti, è stato rimandato a casa come un pacco postale, e sostituito dal difensore centrale della Roma Gianluca Mancini.  Però, lo statement dell’Inter si era riservato quanto prima un confronto con il proprio tesserato al fine di far luce sulle esatte dinamiche di quanto accaduto, prendendo atto del comunicato della Figc in relazione ai fatti che hanno riguardato Francesco Acerbi durante la gara contro il Napoli. E anche  Umberto Calcagno, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori urla forte che «La lotta al razzismo va condotta senza se e senza ma»! L’interista avrebbe cercato di spiegare la propria versione, dicendo che non ci sarebbe stato alcun intento diffamatorio, denigratorio o razzista. «Non ho mai detto nessuna frase razzista, sono molto sereno».

Così com’è, l’introduzione ci è sufficiente per riflettere su termini in cui ci è capitato ascoltare, ovvero: marocchino, negro, ebreo, arabo, extracomunitario, zingaro. E poi altri termini come: africano, cinese, croato, libico, mongolo, moscovita, pigmeo, razzista, venditore di tappeti, insomma una infinità di altri termini affini, che vanno a collegarsi con uno dei problemi sociali di maggiore attualità presenti anche in Italia.

Esso è costituito dal razzismo, cioè dalla pretesa convinzione che la specie umana sia suddivisa in razze biologicamente distinte per tratti somatici e capacità intellettive, con la conseguente idea che sia possibile determinare una gerarchia tra le stesse razze, definendone superiore una e inferiore un’altra. Naturalmente, chi propugna questa teoria ritiene che la razza superiore sia la sua, mai quella degli altri! Sovente (e a volte in malafede), si confonde il razzismo con il tentativo di regolamentare l’ingresso nello Stato di immigrati i quali spesso, alla faccia dei tolleranti per partito preso, vengono sfruttati sessualmente o come manodopera a bassissimo prezzo. Inevitabile dunque che frequenti siano le offese di natura razzista e non irrilevante il numero delle sentenze che hanno per oggetto questa materia. Gli epiteti offensivi più frequenti, dopo il generico negro, sono quelli riferiti alle popolazioni del Nordafrica: “marocchino”, “arabo”, “africano” e “libico”, che rappresentano quasi la metà degli insulti che si basano sulla differenza di etnia.

La presenza di tre sentenze contenenti l’epiteto ebreo si spiega non solo come residuo dell’antisemitismo del ventennio, ma anche con il fatto che nell’immaginario collettivo il termine è spesso usato come sinonimo di “usuraio”. L’insulto razzista più comune farebbe riferimento ai cittadini del Maghreb perché l’immigrazione novecentesca degli extracomunitari in Italia incominciò con loro, per cui si è finito per chiamare marocchini tutti gli immigrati dal Nordafrica, a prescindere dalla loro etnia. In genere i giudici sono molto severi nel condannare tale insulto. e spesso viene applicata l’aggravante razziale (D.L. n. 122del 1993. art. 3, comma 1, conv. in L. n. 205 del 1993), che prevede anche la procedibilità di ufficio e sottrae la competenza al giudice di pace, demandandola al tribunale. <<La circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche  e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’estero e a  suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo , in futuro o nell’immediato, al concreto  pericolo di comportamenti discriminatori , ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, a un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza (Cass.3859l/2008).

Adesso lasciamo il mondo del calcio, e i tribunali, spostando l’attenzione sulla giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, e promuovere tolleranza, inclusione, unità e rispetto per la diversità nell’ambito della lotta alla discriminazione razziale”. Come risaputo, la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale viene celebrata ogni anno il 21 marzo. La data del 21 marzo è stata scelta per ricordare quando il 21 marzo del 1960, in Sudafrica, in pieno apartheid, la polizia ha aperto il fuoco su un gruppo di dimostranti di colore uccidendone sessantanove e ferendone 180. Questo, è tristemente ricordato come il massacro di Sharpeville. Proclamando questa giornata internazionale nel 1966, con la Risoluzione 2142 (XXII), l’Assemblea Generale ha sottolineato la necessità di un maggiore impegno per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Nel 1979, l’Assemblea Generale ha adottato un programma di attività da intraprendere durante la seconda metà del decennio contro il razzismo e la discriminazione razziale. (A/RES/34/24), ed in quell’occasione si decise anche che a partire dal 21 marzo di ogni anno i paesi avrebbero  dedicato una settimana alla solidarietà con i popoli che combattono contro il razzismo e le discriminazioni razziali. Il diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione sono il fondamento delle leggi sui diritti umani.

L’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani stabilisce che tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignità e diritti. E il secondo articolo recita “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza destinazione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altra genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza sono stati alla base degli episodi più tragici nella storia dell’umanità e ancora oggi sono la scintilla e il pretesto delle più gravi violazioni dei diritti umani. Essi rappresentano il principale ostacolo nel progresso dell’umanità verso la pace e lo sviluppo. Le discriminazioni e i crimini d’odio sono diffusi in tutte le società. Fomentate dalla paura sociale si rivolgono ai migranti, ai rifugiati e ai popoli di discendenza africana. Ma non solo. La nostra società non ha ancora gli strumenti per valorizzare la diversità. Molto resta da fare per giungere a una reale coesione sociale, al rifiuto di tutte le forme di conflitto e in particolare di quelle compiute in nome di una razza o di un modello culturale e religioso.

Massimo Scuderi

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